“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni” (Gv 1,6). Inizia così il vangelo della terza domenica di Avvento. Giovanni, testimone mandato da Dio, irrompe ancora una volta nella nostra vita. La santa liturgia ci conduce ancora una volta sulle rive del Giordano e ci inserisce in quella folla di uomini e donne accorsi da ogni parte per ascoltare questo singolare profeta. In sua compagnia è più facile svegliarci dal torpore dell’egoismo e disporci ad accogliere il Signore che viene.
Il Natale è ormai alle porte e la liturgia di questa domenica, chiamata “Gaudete” dalla prima parola del canto d’ingresso, esprime la gioia della Chiesa per l’avvicinarsi della festa. In passato si attenuava anche il digiuno e si dava maggiore solennità alle celebrazioni liturgiche quasi a far pregustare ai fedeli la letizia del natale ormai prossimo. La stessa prima lettura, tratta dal profeta Isaia, ci immerge in questo clima di gaudio con il “lieto annunzio” destinato al popolo d’Israele schiavo in Babilonia. La voce del profeta si alza forte e chiara per annunciare la guarigione ai malati, la liberazione agli schiavi e ai prigionieri, la consolazione ai poveri e agi angosciati. Stava, infatti, per sorgere il grande e definitivo “anno della misericordia” del Signore che si sarebbe celebrato con pienezza al ritorno in Gerusalemme.
Prima dell’esilio, quando Israele viveva nella sua terra, ogni cinquant’anni celebrava la solennità del Giubileo, ossia l’anno della misericordia. Un araldo suonava il corno e annunziava che in quell’anno tutti gli schiavi dovevano essere liberati, i debiti condonati, la pace stabilita. Il profeta ora l’annunziava per tutto il popolo. Questo tempo di Avvento sembra spingerci ancor più a entrare nel clima di un’attesa che sta per compiersi. Il Signore, infatti, è vicino: vicino alla sua Chiesa; è vicino al mondo; è vicino a ciascuno di noi. Giovanni Battista si inserisce in questa scia profetica ed entra di forza, quasi con violenza, nei nostri giorni per scuoterci dal torpore e da una vita che tenta di attutire ogni attesa; egli spinge a riscoprire il bisogno di un mondo nuovo, che pure talora sentiamo e indica colui che sa ridare speranza e senso alla vita.
Nel rarefarsi dei profeti – sono davvero pochi, nel nostro tempo! – con rinnovata attenzione ci poniamo in ascolto di questo grande profeta. Non è lui il Salvatore e lo dice chiaramente. Giovanni non si è lasciato travolgere dalla gloria e dal successo nel vedere tanti che accorrono a lui. Noi, per molto meno, ci sentiamo dei piccoli messia e, comunque, pretendiamo di stare sempre al centro dell’attenzione. Nella sua umiltà, tuttavia, egli non si tira indietro, né si nasconde, anzi, nella coscienza della responsabilità che gli è stata affidata, afferma davanti a tutti: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: ‘Preparate la via del Signore'” (Gv 1,23). Alla lezione di umiltà segue quella sulla responsabilità; una particolare responsabilità: essere “voce”. Ogni cristiano dovrebbe applicare a se stesso le parole di Giovanni: “Io sono voce”.
Per costituzione i credenti sono “voce”, ossia annunciatori del vangelo. È qui la radice del compito di evangelizzazione che grava su ogni discepolo. Paolo, consapevole di tale responsabilità, ammoniva se stesso. “Guai a me se non predicassi il vangelo” (1Cor 9,16). Il credente, prima che un cumulo di opere, è una voce, una testimonianza. Questa è l’unica vera forza del Battista. Ma è una forza debole. Cos’è infatti una voce? Poco meno che nulla: un soffio; basta davvero poco per non farci caso, né ha poteri esterni che possano imporla. Eppure è forte, tanto che molti si accalcano attorno a quella parola. La ragione sta nel fatto che quell’uomo non indica se stesso; non parla per attirare su di sè l’attenzione altrui; non blocca la gente desiderosa di guarigione e salvezza sulle sponde di quel fiume, anche se benedette.
Quella voce rimanda oltre, verso qualcuno ben più forte e potente: “In mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali”, dice Giovanni (1,26-27); e lo afferma ancora oggi. È vero, infatti, che anche in mezzo a noi, anche nelle nostre parrocchie, c’è uno che spesso noi non conosciamo, oppure a cui poco badiamo. Non è raro trovare tra coloro che frequentano la chiesa un numero piuttosto alto che non legge per niente il vangelo. E allora fa davvero impressione constatare quanto poco si conosca Gesù; purtroppo è esperienza di molti incontrare ragazzi e giovani quasi del tutto ignari della stessa vita di Gesù.
Di fronte a una situazione come questa non possiamo esimerci da un esame di coscienza e chiederci se la poca fede di molti non dipenda anche dalla nostra fiacchezza. È una responsabilità che non riguarda solo alcuni ma tutti i cristiani, dal più piccolo al più grande. Troppo spesso siamo silenziosi, pigri, fiacchi, dimentichi dell’annuncio evangelico. Se il Battista è una voce che grida, noi ci scopriamo malati di afonia evangelica, pronti magari a farci tornar la voce quando si tratta di reclamare e difendere i nostri diritti o anche le nostre pretese. In questa domenica perciò è utile una pausa di riflessione per cogliere le nostre responsabilità e chiedere perdono per il nostro silenzio, per non essere stati “voce”. Lo abbiamo già detto, le nostre città hanno bisogno di una voce vera che indichi il Signore; hanno bisogno che i cristiani testimonino e parlino del Signore e della sua misericordia. Gregorio Magno, nell’omelia sesta del primo libro di omelie sui vangeli, ammoniva i cristiani: “Guardatevi dal rifiutare al prossimo l’elemosina della parola”.
Il compito della Chiesa e di ogni cristiano è tutto qui: essere una voce che sa parlare agli uomini e alle donne delle nostre città e dei nostri paesi per dire loro che il Signore è vicino, vicino a tutti e particolarmente ai poveri e ai deboli. Possiamo applicare a ognuno di noi le parole di Isaia: “Lo spirito del Signore è su di me… mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri… a promulgare l’anno di misericordia del Signore” (Is 61,1-2). E Gregorio Magno, nel brano citato, aggiungere: “In questo modo, se non trascurare di annunciare la sua venuta per quanto siete capaci di farlo, meriterete di essere annoverati da lui, come Giovanni Battista, nel numero degli angeli”.