Vittime del vuoto

Una città sconvolta per le recenti tragedie si domanda che fare

Un’altra tragedia si è consumata al Ponte delle Torri. Dopo Marco Benedetti Isidori, giovane spoletino di soli ventidue anni, domenica scorsa si è tolta la vita una donna brasiliana di trentacinque anni. Sposata con un ternano, era madre di due figli. Alla base della drammatica decisione ci sarebbero questioni di natura sentimentale. Sembra che la coppia si stesse separando, facendo cadere la ragazza in una forte depressione. Due gesti che hanno sconvolto l’intera città di Spoleto, riportando all’attualità una possibile istallazione di reti protettive al famoso monumento. Sulla problematica del suicidio, particolarmente di giovani, abbiamo chiesto a Rita Musco, psicologa del Centro di pastorale familiare diocesano, cosa può portare una persona a togliersi la vita. Dottoressa Musco, quale meccanismo scatta nella mente umana per spingere molte persone al suicidio? Il fatto che molti siano giovani è solo un caso, o la dimostrazione della fragilità interiore in cui vivono i giovani?’Il suicidio è la conseguenza di mancanza di attrattive nella realtà circostante, è la visione totalmente negativa di quello che ho davanti. Il togliersi volontariamente la vita è sintomo di come sia duro affrontare la ‘fatica’ del quotidiano. Soprattutto ai giovani si prospetta un futuro incerto nel lavoro, negli affetti, nella famiglia e nell’amicizia. I genitori, è emerso da un recente studio, hanno delle difficoltà a permettere che i figli affrontino delle sofferenze; non sanno cosa fare quando un figlio è in difficoltà. Le nuove generazioni da parte loro tendono sempre di più a privilegiare amicizie chiuse, esclusive. Questo dato dimostra la paura ad aprirsi verso l’esterno. Oggi i giovani temono il giudizio: tanti li giudicano, pochi li ascoltano. Poi la mancanza dei punti di riferimento quali i partiti politici o le associazioni, che possono rappresentare un qualcosa di fermo e di sicuro esterno a sé. Questi elementi, insieme a tanti altri, portano i giovani ad un pericoloso stato depressivo.’Attraverso quali segnali possiamo accorgerci che un ragazzo, o qualcun altro, si trova in difficoltà? Cosa fare?’Il campanello di allarme lo dobbiamo cogliere quando un ragazzo non ride più, quando è attratto da notizie tragiche, quando non ha più iniziative. In questi casi non bisogna lasciare sole queste persone. A volte non servono neanche tante parole, basta la vicinanza. Ricordiamoci anche, però, che il vero depresso non cerca nessuno, non ci chiama al telefono per comunicarci il suo stato. Vuole solo la morte, non cerca aiuto. Tutti dovremmo ripartire dall’ascoltare i ragazzi, dal far comprendere loro che nella vita non si riesce senza lottare. È necessario curare di più il livello umano, insegnando alle nuove generazioni come si costruiscono le relazioni’. Mettere delle barriere al Ponte delle torri risolverebbe il problema? ‘Le reti protettive sono l’ultimo anello della catena. Il ponte è un simbolo, è un luogo che ha una fama sinistra. Viene scelto proprio perché teatro di altri suicidi. Con le barriere arriveremmo solo ad evitare la brutta nomenclatura di ‘ponte della morte’, senza risolvere il problema dei suicidi’.

AUTORE: Francesco Carlini