Violenza negli stadi. Perché?

Un'indagine della società presieduta da Klaus Davi ha realizzato un'inchiesta sull'influenza dei media nelle abitudini del tifoso di calcio

Calcio in provincia. Le curve della violenza: è il tema di un convegno che si è tenuto a Terni, presso la Sala congressi di palazzo Mazzancolli. In una ricerca della Klaus Davi&Co e della questura di Terni è stato analizzato il fenomeno. Relatori della ricerca Klaus Davi, il questore di Terni Luigi Savina e il noto psichiatra Paolo Crepet. Alla conferenza hanno partecipato, tra gli altri, Italo Pappa, capoufficio Indagine della Federcalcio, Claudio Tessarolo, inviato del Giornale di Vicenza, il sindaco di Terni Paolo Raffaelli, ed il presidente della provincia Andrea Cavicchioli. Quanto la comunicazione contribuisce a rendere aggressive la tifoserie? Quanto incidono i modelli proposti dai mass media nel profilare un comportamento violento del tifoso? Incidono di più la radio, le tv, i videogames o la vita di gruppo? Sono alcuni quesiti ai quali il massmediologo Klaus Davi ha cercato di rispondere. ‘C’è sempre una più profonda disaffezione per il calcio – ha detto Davi – Lo dimostra la diminuzione di presenza negli stadi ed i cali di ascolto degli eventi trasmessi dalla televisione che, tra l’altro, stanno provocando un vero e proprio terremoto nelle aziende che sponsorizzano il calcio. La gente è stufa – ha continuato Klaus Davi – di questo mondo. La violenza è sempre più diffusa in provincia dove le occasioni di svago e di vita alternativa sono inferiori. Ma qual’è l’identikit del tifoso? La nostra ricerca ci dice che ha mediamente 35 anni, vive prevalentemente al nord, nell’85% dei casi è maschio con un livello medio di istruzione ed è già inserito nel mondo del lavoro. Con i media esiste un rapporto conflittuale anche se i gruppi ultrà sfruttano la popolarità acquisita per trarne visibilità. Lo strumento mediatico preferito è la televisione (28%) ma il mezzo con cui si rapporta maggiormente è la radio (23%). Seguono i giornali sportivi (18%). Il 16% ama essere aggiornato mediante internet o dai new media. Chi vive il calcio come uno svago (15%) simula partite con i videogiochi’. Indubbiamente il binomio calcio-violenza appare sempre più radicato nella società moderna. Episodi di teppismo mettono a repentaglio la sicurezza e l’incolumità di attori inconsapevoli, a causa di ristrette cerchie che fungono da cellule impazzite. E il fenomeno non riguarda solo il grande palcoscenico del professionismo, ma si diffonde in modo crescente fino alle periferie. ‘Perchè si va allo stadio – si chiede Paolo Crepet – con la chiara intenzione di fare violenza? Il calcio non c’entra proprio nulla. Un ragazzo passa tutta la domenica, o addirittura tutto il week end, al seguito della squadra di calcio perchè non ha altro da fare. Se dal lunedì al venerdì ci si annoia, quando arriva il sabato si sente la necessità di farla grossa: o si va in discoteca fino al mattino oppure allo stadio a fare il cretino, a sfogarsi. Credo – conclude Crepet – che si debba partire dalle scuole: la competizione non ha alcun senso. Vanno abbassati toni, l’importante è giocare, divertirsi, e basta’. Nel frattempo vengono adottate nuove norme di sicurezza allo scopo di arrestare gli episodi di violenza e restituire così dignità allo sport più amato dagli italiani. Nell’ultimo campionato sono diminuiti sia i feriti (di oltre il 40%) che gli arresti (del 13%). La ricerca ha concluso che, come ogni atto comunicativo, anche quello della violenza calcistica si manifesta con l’intenzione di trasmettere scopi, emozioni, incomprensioni, ma soprattutto bisogni, collegati alla componente culturale in cui il tifoso è calato.

AUTORE: Lucio Lancia