La Parola di Dio della I domenica di Avvento ci invita a intraprendere un percorso di vita decisamente dinamico, anche se il susseguirsi delle letture sembrerebbe presentarsi in modo anomalo. Generalmente si trova riscontro tra il messaggio della prima lettura e quello del Vangelo. Nel nostro caso, invece, il profeta Isaia propone l’annuncio di un’era futura di pace dal tono concreto e poetico insieme: “Spezzeranno le loro spade e faranno aratri… non impareranno più l’arte della guerra”, mentre il Vangelo descrive drasticamente il tempo futuro in cui un uomo verrà portato via e l’altro lasciato, e una donna verrà portata via e l’altra lasciata, il tutto sulla base di non si sa quale criterio! Qual è la verità? Cosa deve attendersi il credente: la pace o la fine di tutto? Quale messaggio rivolge la Parola di Dio? Il brano del Vangelo in questione è posto al centro dei capitoli 23-25, che riportano gli ‘ultimi discorsi’ di Gesù, la cui tensione principale è l’attesa della venuta del Figlio dell’uomo, attesa che può degenerare in atteggiamenti esasperati o ingannevoli. Gesù indica perciò l’atteggiamento giusto da adottare, e lo fa pronunciando un imperativo: “Vegliate!”. Il verbo greco utilizzato indica ‘tenersi svegli’, ‘stare allerta’, ‘essere vigili’. Lo stesso imperativo verrà usato da Gesù tra non molto e precisamente nell’orto del Getsemani (Mt 26,41) nel momento della sua ‘ora’, e vi aggiungerà l’altro imperativo: “Pregate!”. Fatte queste osservazioni, dobbiamo convenire che l’annuncio riguarda un tempo di prova e di tribolazione. In questi tempi in cui si è coinvolti dall’allerta sisma, maltempo… il brano evangelico può esercitare una particolare suggestione. Per non parlare di quando la vita del credente è minacciata da altri ‘allerta’: sconvolgimenti personali, persecuzioni, incomprensioni. Gesù espone questo insegnamento proprio prima di essere tradito, arrestato, rinnegato, torturato e ucciso, come a voler dare un’indicazione sul modo di vivere gli eventi personali e comunitari: vegliando. Tuttavia, la parola ‘morte’ non è l’ultima su Gesù. Non solo. Esaminando la casistica della Scrittura in merito all’attesa del “giorno del Signore”, presente soprattutto nel linguaggio profetico, vediamo che esso non assolve una funzione distruttiva, ma salvifica. Ecco allora la risposta: la venuta del Figlio dell’uomo è motivo di gioia, di realizzazione e di pienezza, e non può che inaugurare un tempo di pace; tempo che l’uomo che lo desidera certamente sarà pronto a vivere, perché da lui atteso in modo vigile.
Del resto l’uomo ha un’inclinazione naturale all’attesa. Scrive Pascal: “Non viviamo mai nel presente, ma in attesa del futuro”. E che l’atteggiamento giusto sia quello dell’attesa e della veglia lo confermano le parabole del maggiordomo e delle dieci vergini che nel Vangelo di Matteo seguono il brano proposto nella liturgia di questa prima domenica di Avvento. Allora sentiamoci rivolti la domanda: “Stai vegliando? Soprattutto, attendi ancora qualcosa dal Signore, dalla vita? Ti tieni lontano da una tristezza che non ti permette di procedere nella tua vita?”. Il Salmo responsoriale mette infatti relazione la gioia con il verbo “andare”. Scrive Papa Francesco che “il grande rischio del mondo attuale… è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi, non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del Suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene” (EG, 2). Se il nostro cuore è appesantito, e non è più in grado di ‘palpitare’, cosa si può fare perché possa tornare a provare la gioia dell’attesa? La seconda lettura ci fornisce le indicazioni. San Paolo, che scrive alla comunità di Roma dando suggerimenti pratici – ormai verso i capitoli conclusivi della lettera –, esorta i suoi uditori a decidere di liberarsi di ciò che non proviene dal Signore: “Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce… non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne”. L’Apostolo sta proferendo queste parole a coloro che sono consapevoli del momento – kairòs – e quindi li responsabilizza. Sono anche le parole che folgorarono il cuore di sant’Agostino e lo fecero decidere per Cristo (Confessioni). Dopo un anno di grazia vissuto con il Giubileo della Misericordia, la liturgia ci aiuta a non insuperbirci, a intraprendere un nuovo anno all’insegna dell’umiltà attraverso il monito alla vigilanza e a continuare ad alimentare un sentimento di attesa; e con il versetto alleluiatico (dal Salmo 84) ci sprona a supplicare ancora: “Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza”.