Il lezionario oggi ci fa compiere un salto all’interno del vangelo secondo Luca. Alla professione di fede di Pietro – di cui abbiamo letto domenica scorsa – segue l’episodio della trasfigurazione, che però viene espunto dalla lettura continua liturgica, perché ad esso, come sappiamo, è dedicato spazio in altri momenti dell’anno. Viene omesso anche il racconto di un esorcismo e del secondo annuncio della passione, e si arriva al brano odierno, che inizia appunto al versetto cinquantuno del nono capitolo del vangelo. In viaggio. Accade qui qualcosa che Luca evidenzia in modo particolare: Gesù intraprende il viaggio verso la città santa, Gerusalemme. Ne avevamo avuto una anticipazione proprio durante la trasfigurazione: con Mosè ed Elia Gesù parla dell’esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme (Lc 9,31). Ora questo percorso inizia, e dal nostro brano fino al momento in cui Gesù compie il suo ingresso messianico in città (cap. 19), viene continuamente ricordato al lettore che Gesù è in viaggio.
Gli studiosi, come Aletti (L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa nel vangelo di Luca, Queriniana 1991), non hanno mancato di notare che “se è noto il termine del viaggio, Gerusalemme, la città che mette a morte i profeti, è difficile determinarne l’itinerario: Gesù si dirige decisamente verso Gerusalemme, ma in Lc 17,11 si trova praticamente ancora allo stesso posto!”. Luca perde forse il filo del discorso? Certo, “il viaggio si svolge in modo incoerente, impossibile da seguire su una carta geografica” (Rossé), ma più che di una imprecisione, si tratta di una scelta accurata dell’evangelista. L’autore sacro insiste in modo del tutto particolare su questo periodo del ministero dei Gesù: ce ne accorgiamo anche perché da questo momento in avanti Luca abbandona temporaneamente lo schema narrativo tracciato da Marco e prosegue autonomamente. Non solo.
La maggior parte del materiale contenuto in questa sezione è costituita da discorsi di Gesù, che Marco nemmeno ci tramanda. Sembra proprio che Luca sviluppi un'”arte consumata”, che gli fa differire il termine del viaggio, che quasi non finisce mai, in modo che Gesù possa portare avanti a volontà il suo insegnamento. Non c’è interesse particolare per l’itinerario o per i dettagli: è un viaggio dal valore teologico, un “camminare verso la sofferenza”; in questo viaggio “Gesù apre la via all’esistenza del discepolo, la riempie di contenuto e definisce tale esistenza come un seguire Gesù” (Rossé). Anche la descrizione dell’inizio del viaggio è stilisticamente solenne. Nella traduzione Cei di Lc 9,51 si dice che “Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme”. È una buona interpretazione, perché il testo originale greco in effetti, alla lettera, dice: “Gesù indurì la faccia (il volto) per dirigersi verso Gerusalemme”.
Fitzmyer sottolinea che l’espressione è strana, anche per il linguaggio biblico. Forse ha una origine nella lingua ebraica, con paralleli, ad es., in Gen 31,21 (“Giacobbe si diresse veso le montagne”), e allora si tratterebbe di una insistenza sul verbo partire; ma il verbo può anche essere confrontato con una frase in Is 50,7: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso”. In questo caso allora – ma il paragone non è perfetto sul piano filologico – lo sfondo sarebbe piuttosto quello del Servo del Signore, e l’accento della frase andrebbe sulla scelta del profeta che accetta il suo destino di sofferenza. Gesù di fronte alla morte. Comunque sia, andare verso Gerusalemme prevede la scelta consapevole di Gesù. La sua passione e morte non sono dovuti ad un caso, ad una fatalità, ma sono previsti sin dall’inizio del viaggio.
Abbiamo visto la scorsa domenica che Gesù vuole rivelarsi in un particolare messianismo. Il vangelo odierno ci dice che Gesù annette alla propria morte una profonda intenzionalità, che implica una ricaduta al di fuori di sé in favore degli altri uomini. Il Catechismo degli adulti della Cei è particolarmente efficace su questo tema, trattando proprio del viaggio verso Gerusalemme: “Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: ‘Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore’ (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi” (226).
Il viaggio, metafora dell’esistenza umana, è un tema toccato in ogni letteratura. Basti pensare a Ulisse, da quello di Omero a quello di Joyce, o al viaggio di formazione del romanticismo alla Von Eichendorff. Nella letteratura biblica, il popolo dell’alleanza sa di provenire da gente nomade (“Mio padre era un Arameo errante”; Dt 26,5); anche il popolo dei cristiani si comprende “straniero e pellegrino” (cfr. 1 Pt 2,11). Ma il viaggio di Gesù ha un significato diverso. Parte dall’esperienza che ha condiviso con noi, ma raggiunge un “luogo” che da solo, un uomo, non è capace di immaginare.