Il brano evangelico della IV domenica di Avvento presenta due nascite: quella di Gesù annunciata alla vergine Maria, e quella del Battista, ormai prossima, della quale l’arcangelo dà notizia. Abbiamo dunque due madri, e di fronte a loro due figli accomunati dalla caratteristica di giungere inaspettatamente, cambiando la vita dei loro genitori. Tale situazione suggerisce una meditazione utile a ogni famiglia sul significato dei figli, ma anche sul modo di vivere bene il Natale, visto che anch’esso è di fatto una nascita, quella del Salvatore. Molte volte, soprattutto nella cultura odierna, i figli sono proiezione dei desideri dei genitori. Spesso sono voluti, programmati, e si concentra su di loro un’attenzione morbosa.
Spesso accade anche che, dopo l’euforia della novità iniziale, ci si trovi a escogitare tanti espedienti per sistemarli, magari anche dispendio- samente, in modo da ritagliare per i genitori il giusto spazio di autonomia ed evitare l’esaurimento. Una griglia di impegni fitti finisce per stravolgere la vita anche dei più piccoli, trascinati di qua e di là come se tutto ciò fosse necessario. Da parte loro i genitori, mentre da un lato esteriormente si vantano per la prole, dall’altro si lamentano della stanchezza, e magari se la prendono con la società e con lo Stato che non offre adeguati servizi sociali utili a favorire l’infanzia e soprattutto la famiglia.
Di fronte a questa situazione abbastanza comune, il brano del Vangelo e il mistero del Natale invitano a una meditazione seria e profonda, per rinnovare la consapevolezza circa il grande e faticoso dono che è diventare genitori per viverlo responsabilmente. I figli non sono un programma che “si fa” e che può essere portato avanti con disinvoltura. Non possono rientrare nella pianificazione e essere posti sotto controllo. I figli sono l’evento della sorpresa, sono coloro che abitano la nostra vita dirottandola.
Questo fattore di imprevisto, questa fatica, questa continua rivoluzione dei ritmi non sono da scongiurare o contenere, ma da assumere e comprendere. Ecco che cosa fa Dio con noi col Natale. Nasce come un Figlio, che non vuole entrare nei nostri schemi per essere parcheggiato nella mediocrità di una vita cristiana molto superficiale. Non si accontenta di essere sistemato dove noi vogliamo che stia per non intralciare più di tanto la nostra auto-realizzazione. Come un figlio che viene e che porta tanti imprevisti, Egli crea sorpresa, introduce novità, preme, scombina, e a volte fa veramente sussultare, chiedendo che la nostra vita venga proiettata su di lui: vuole assorbire e invita a riconfigurare le scelte e le abitudini in ragione della sua umile presenza.
Elisabetta fu colta alla sprovvista: anziana, insieme a suo marito non attendeva più un figlio, e dovette ripensare tutto. Maria non poteva ancora pensare a dei figli, non essendo neppure sposata. Entrambe furono inondate di grazia, e ciò mediante il dono di un figlio che rese necessari nuovi programmi. L’augurio, da una parte, è che anche per noi i figli siano un evento della grazia, in forza del quale impariamo a spendere la vita come un dono. Dall’altra, l’augurio è che il Natale sia davvero – per eccellenza – l’occasione per riscoprire il mistero di un Dio che, nascendo, desidera entrare nell’esistenza credente non come un’aggiunta qualsiasi, ma come colui che chiede di essere fatto oggetto di attenzione, diventando il centro gravitazionale degli interessi e il motivo del cambiamento radicale di tante scelte esistenziali.
La nascita di un figlio esige una profonda revisione degli stili di comportamento: allo stesso modo, possa il Natale trasformare la nostra vita di fede abbattendo i muri dell’egoismo e del comodo.