La celebrazione di questa domenica (Presentazione del Signore al tempio) interrompe il ciclo ordinario delle letture, ma non distoglie dal percorso avviato domenica scorsa. I temi dell’introduzione del Messia nella storia concreta di Israele, che Giovanni Battista attesta, non sono infatti lontani dall’icona biblica presentata questa settimana.
Due figure profetiche, Simeone e Anna, attestano la “realtà” del Bambino e la sua missione. Il vecchio Simeone, “uomo giusto e pio”, attendeva “la consolazione d’Israele” (Lc 2,25); lui e la profetessa Anna, quasi una intera vita consacrata alla preghiera e alla penitenza (v. 37), hanno il privilegio di contemplare “la consolazione d’Israele” e “il vero culto gradito a Dio”. L’indicazione geografica del Tempio, luogo della presenza dello Spirito di Dio, ora, per un attimo, è abitato anche dal Cristo Signore, atteso Consolatore d’Israele e sua gloria, e “luce per illuminare le genti” (v. 32).
Il Cantico di Simeone
Simeone e Anna appaiono come i custodi della sapienza d’Israele e nello stesso tempo i custodi della speranza, certi della realizzazione delle promesse di Dio. La loro fede è premiata con la possibilità di vedere ciò che attendevano; come Giovanni Battista, possono indicare a Israele e al mondo il “Dio con noi” e per noi. Al cuore del testo biblico di questa domenica giganteggia il cantico di Simeone, anticipato dal gesto benedicente con il Bambino in braccio. Il Nunc dimittis, così come il Magnificat e ilBenedictus, eleva a inno i sentimenti personali dei personaggi sulla cui bocca è posto, e nello stesso tempo si fanno voce di un intero popolo.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Malachia 3,1-4SALMO RESPONSORIALE
Salmo 23 (24)SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli Ebrei 2,14-18VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca 2,22-32
L’ingresso nel tempio di Gerusalemme del Cristo Signore, anche se può identificarsi con una sorta di “presa di possesso”, è ben lontano dalle processioni trionfali di coloro che hanno vinto la loro battaglia con gli eserciti. È ancora lontano anche dal compimento, cantato in un inno inserito nell’Apocalisse : “Alleluja, ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente” (19,6-8).
Da parte sua, il profeta Malachia solennizza il gesto della Sacra Famiglia che entra nel tempio (Ml 3,1) attribuendo a quel Bambino, entrato mestamente tra le braccia dei genitori, una potenza che incute rispetto e paura: “Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire?” (v. 2).
La sua azione purificatrice ha uno scopo ben definito,discernere, vagliare e setacciare i puri di cuore, perché solo la loro offerta sarà gradita (v. 3). Solo coloro che non “inciamperanno” sullo scandalo di un Dio onnipotente che si fa Servo sofferente, e accetteranno la stoltezza di un Dio che decide di essere sconfitto salendo su una croce (1Cor 1,23), celebreranno il vero culto. Il profeta Malachia, in sintonia con gli altri Profeti, chiamerà profanatori coloro che elevano culto a Dio ma dimenticandosi dell’uomo ridotto in miseria. Quale è il vero culto?
Il vero culto
Gli incensi, i noviluni, moltiplicare le preghiere? Con lo stesso tono di Malachia, il profeta Isaia indica una precondizione: “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (1,16-17).
I “piccoli di Dio” intonano il Salmo di questa domenica e alzano le porte per agevolare l’ingresso del loro Signore, riconoscendolo al di là di ogni umana attesa. Tutti costoro sono passati attraverso la spada che divide la verità dalla menzogna e che trafiggerà anche Maria, come profetizza Simeone, prefigurando il dolore della madre (Lc 2,35).
Un martirio interiore che costringe all’uscita da se stessi, per permettere l’ingresso di Cristo Signore; che può significare, alcune volte, anche il sangue versato. Un corpo donato e un sangue versato sono il paradigma di ogni vero culto, un unico sacrificio con quello di Cristo, che il Padre accoglie.
Testimoni della vittoria di Cristo
In altre parole: ogni volta che “ci mettiamo la faccia” pagando di persona, attestiamo la verità del sacrificio di Cristo e testimoniamo la sua vittoria sulla morte. Proprio perché Lui l’ha fatto prima di noi, “prendendosi cura non degli angeli” ma di noi, come attesta la seconda lettura, abbiamo la forza di farci suoi imitatori; e ogni volta che ci dimentichiamo di noi stessi per amore, stendiamo un tappeto d’onore al suo venire continuamente nella storia.
Allora la sua venuta sarà veramente trionfale, ma con l’incedere dell’Agnello immolato, che ha vinto il peccato e la morte e continuerà ad essere vittorioso ogni giorno, nella liturgia quotidiana della vita.
Don Andrea Rossi