Ricordando, quindici anni dopo, l’evento del 27 ottobre 1986, che raccolse ad Assisi i leader delle confessioni cristiane e delle varie religioni per la Giornata mondiale di preghiera per la pace, il beato Giovanni Paolo II ne parlò come di un “sogno”: “Avevo davanti ai miei occhi come una grande visione: tutti i popoli del mondo in cammino da diversi punti della Terra per riunirsi davanti all’unico Dio come un’unica famiglia. Quella memorabile sera, nella città natale di san Francesco, quel sogno diveniva realtà: era la prima volta che i rappresentanti di diverse religioni del mondo si incontravano insieme”. Quando scriveva queste parole – erano i primi giorni di settembre 2001 – il Papa non avrebbe certo messo in conto l’attacco terroristico alle Torri gemelle che, qualche giorno dopo, sarebbe venuto a gettare ombre cupe proprio su quel sogno. Il mondo diventava ancor più diffidente. L’incontro dei “diversi” ancor più improbabile e lontano. La violenza, il fanatismo, il fondamentalismo, l’avevano avuta ancora vinta. Rinunciare dunque al sogno? Tutt’altro! L’11 Settembre lo rendeva ancor più attuale. Non a caso il Papa lo riprendeva due anni dopo, arricchendolo dello sfondo della grande profezia di Isaia (2,3): “Tutti i popoli del mondo in cammino dai diversi punti della Terra per raccogliersi attorno a Dio come un’unica, grande e multiforme famiglia”. La differenza tra un “sogno” e una “profezia” è nel fatto che il primo esprime lo slancio del cuore umano, la seconda vi aggiunge la voce di Dio. Un sogno può svanire, la profezia è il luogo della speranza operosa. A pochi giorni, ormai, dal prossimo 27 ottobre, in cui rivivremo il “sogno” di venticinque anni or sono con Benedetto XVI, mi sembra opportuno sottolineare che esso si pone più che mai sull’onda della profezia. Riprendiamo una riflessione, una preghiera, un impegno, che ci impediscono di segnare il passo; al contrario, ci mettono in cammino, in un ideale pellegrinaggio con tutti gli uomini di fede, anzi, con tutti gli uomini di buona volontà. Lo slogan scelto dal Papa è chiaro: “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Visto da Assisi, che all’evento dà non soltanto il colore di uno scenario stupendo, ma la sua “anima”, – si parla per questo di “spirito di Assisi” – questo pellegrinaggio assume i tratti del cammino di Francesco. È nel suo volto di “poverello” che impariamo lo stile del pellegrino. Stile che non può certo significare rinuncia alle nostre identità, ma implica una relazione non presuntuosa e non prepotente con la verità, che noi riconosciamo rivelata in Cristo, anzi, coincidente con il suo mistero, ma che proprio per questo è sempre più grande dei nostri pensieri. Di fronte ad essa si cade in adorazione. A nessuno è lecito brandirla come un’arma. È verità che obbliga all’amore, all’umiltà, al servizio, e rende ascoltatori di un mistero che ci supera, e per questo si manifesta anche attraverso i raggi di luce che dobbiamo saper accogliere dovunque opera lo Spirito di Cristo, che “soffia dove vuole”. Per questo, nel dialogo del 27 ottobre, Benedetto XVI ha desiderato che non mancasse la voce dei “non credenti” aperti al dialogo. Un’apertura di credito che, senza farci cadere nel relativismo, ci addita uno straordinario orizzonte per la costruzione della pace.
Venticinque anni tra sogno e profezia
Parola di vescovo
AUTORE:
Domenico Sorrentino