Va’ dove ti porta il Pastore

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini IV Domenica di Pasqua - anno A

Il vangelo della quarta domenica di Pasqua sembra cominciare così all’improvviso da spiazzarci un po’. Si parla di ladri e briganti, che, invece di entrare nell’ovile per la normale porta di ingresso, ne scavalcano il muro. Il legittimo pastore entra invece regolarmente per la porta, dopo avere bussato e atteso che il guardiano gli apra. Tutto lascia pensare che si tratti della continuazione di un discorso iniziato in precedenza. In realtà il discorso è iniziato nel capitolo precedente, il nono del Vangelo secondo Giovanni, dove si racconta la guarigione di un cieco nato. (Lo abbiamo ascoltato in Quaresima).

Dopo che il cieco guarito lo ebbe riconosciuto come “Figlio dell’uomo”, Gesù dichiarò di essere venuto al mondo per ridare la vista ai ciechi e toglierla ai finti vedenti (Gv 9,39). I farisei presenti afferrarono la metafora, si piccarono e chiesero se per caso considerasse ciechi anche loro. La risposta fu ancora più dura: “Se foste ciechi non avreste colpa, ma siccome pretendete di vederci, il vostro peccato rimane”(Gv 9,41). Questi sono dunque i ladri e i briganti di cui parla. Questa parola di Gesù si collega con un’altra, riferita da Matteo: “Guai a voi, scribi e farisei, guide cieche…” (Mt 23,16).

Stando così le cose, gli scribi e i farisei, guide cieche, non possono pretendere di mettersi alla guida del gregge. “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (Lc 6,39). (Domanda: chi sono oggi le guide cieche, che pretendono di far da guida ai ciechi di questa generazione? Sarebbe fin troppo facile, e anche un po’ rischioso, fare nomi di persone, strutture, sistemi. Ognuno scruti piuttosto la propria coscienza e veda un po’ da chi si lascia guidare). Questa volta però gli interlocutori di Gesù non afferrarono la metafora. Allora Gesù chiarì: “Io sono la porta”. Ancora una parola di rivelazione su se stesso. Gesù è la Porta. In un’altra occasione dirà: “Io sono la via… Nessuno arriva al Padre, se non attraverso me” (Gv 14,6).

A noi occidentali e moderni, paragoni come questi appaiono strani. Come si fa a identificarsi con una porta! Eppure se abbiamo pazienza di ascoltare per intero le Scritture sante, esse in fondo sono chiarissime. Nel prologo al Vangelo, Giovanni aveva scritto: “Dio nessuno lo ha mai visto… ce lo ha rivelato il Figlio”. (Gv 1,18). Il volto di Dio che conosciamo, è il volto di Gesù. Un’altra volta rispose all’apostolo Filippo, che gli chiedeva di mostrare loro il Padre: “Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre” (14,9). Contemporaneamente Gesù si rivela anche come Pastore. Nell’antico oriente “pastore” era un titolo onorifico del re, che guidava il popolo con competenza, fedeltà e mitezza. Così fa Gesù, che chiama le pecore, ciascuna per nome, le fa uscire ordinatamente dall’ovile e le conduce al pascolo. Le pecore ne riconoscono la voce, lo seguono in pascoli buoni, ombreggiati e riposanti.

Il Salmo 22, che cantiamo in risposta alla prima lettura, fa da sfondo a questa scena agreste e concretissima. Si canta liricamente di pascoli erbosi, di acque tranquille, di profumi, di abbondanza di vino. Ma si canta anche di una mensa, dove si banchetta sotto gli occhi di nemici, resi impotenti dall’Onnipotente. All’inizio di tutto, però, si proclama fiducia incondizionata nel Signore, riconosciuto come Pastore, seguendo il quale si sperimenta pienezza, gratuità, e una tale sicurezza, che anche se ci si dovesse trovare in gravi situazioni di rischio, non ci sarà nulla da temere, “perché tu sei con me” (Sl 22,4).

Da lì scaturisce il desiderio immenso di rimanere per sempre a casa sua. La lettura del Vangelo si conclude con una parola decisiva di Gesù: “Io sono venuto perché abbiano vita in abbondanza” (10,10). Chi si domanda per quale scopo Gesù sia venuto nel mondo, qui trova la risposta esplicita e di prima mano: perché abbiate pienezza di vita. Che cosa ciascuno di noi cerca al di sopra di ogni altra cosa, se non vivere in pienezza? Il che non coincide necessariamente con il desiderio di una vita dove gli anni si aggiungono agli anni, senza costrutto; ma piuttosto con una vita ricca di significato, che non si sente minacciata, libera da paure. Invece, a pensarci bene, quello che di più ci rammarica è il timore di stare vivendo, per così dire, con il motore al minimo. Un autore contemporaneo ha lasciato scritto: “Temo di aver vissuto al 4 per cento”. Nel linguaggio della Bibbia una vita vissuta “al 100 per cento” è detta “vita eterna”. Prima di essere portati al cimitero. Una vita così è possibile? Nessuno, in ogni caso, se la può dare da solo, ma si può ricevere da chi la possiede: il Risorto.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi