Il racconto della vocazione di Simone nel Vangelo di Luca procede allo stesso modo di Mc 1,16-20, da cui attinge, ma solo fino ad un certo punto. Il terzo Vangelo infatti compie alcuni aggiustamenti importanti e poi aggiunge una scena tutta sua, che ritroviamo in parte soltanto nel Vangelo di Giovanni, al cap. 21, con Gesù ormai risorto: si tratta del famoso episodio della pesca miracolosa. Intanto notiamo subito che, rispetto al vangelo che la liturgia ci ha fornito la domenica passata, qui si racconta di qualcuno che segue il Signore.
A Nazareth Gesù non viene preso sul serio, è rifiutato, ma ora c’è invece chi rimane colpito dalla sua persona, tanto da lasciare tutto e seguirlo. Questi è Simone. È a partire dal nostro episodio che Luca si concentra su di lui inaugurando quella stima particolare che l’evangelista ha per Pietro, e che di sicuro eredita dalla comunità primitiva. Se in Marco e in Matteo la formula di vocazione è al plurale e coinvolge i primi discepoli, “Venite dietro a me, e vi farò pescatori di uomini”, in Luca la chiamata è alla seconda persona singolare: “D’ora in poi saranno uomini quelli che tu prenderai” (5,10; “nuova” Cei. In effetti qui non c’è il verbo “pescare”, come in Mc e Mt, ma proprio “zogreo“, catturare, prendere “vivo”). Ma è di tutta la scena, non solo della conclusione, che Simone è protagonista, con i suoi sentimenti e con la sua fede.
Sulla tua parola. Nel racconto della pesca miracolosa sono presenti molti elementi che ne fanno una vera e propria catechesi sulla fede del discepolo. Secondo Carlo Maria Martini, che dedica una bella meditazione alla pericope (L’evangelizzatore in san Luca, Ancora Editrice), abbiamo a che fare con un episodio nel quale appare “come Cristo è Colui che ribalta le situazioni umane chiuse e perdute”. Secondo Martini il brano è costruito attorno a tre salti di fiducia, che Simone è invitato a fare, e che portano a tre rovesciamenti della realtà. Il primo salto nella fede è quello di gettare le reti quando tutto sembra inutile. L’obiezione di Pietro all’invito del Maestro, “abbiamo faticato tutta la notte” è indice di una grande delusione, e forse potrebbe essere resa in italiano con un senso più forte. Il verbo che Luca usa è ben noto nella Bibbia, e viene tradotto, nei salmi, con essere stremato (nei lamenti; Sal 6,7), essere sfinito (dal gridare a Dio; Sal 69,4); è il faticare invano dei costruttori se “Dio non edifica la casa” (Sal 127,1).
In quello spazio di delusione agisce Dio. Proprio nel momento del limite, quando non c’è più nulla da fare. Come quando gli ebrei hanno di fronte il mare, e alle spalle gli egiziani. Forse è un passo necessario per chi vuole seguire Gesù: riconoscere la propria incapacità, fermarsi e dire: da solo non sono riuscito a far nulla. A questo punto, nella dolorosa esperienza che agli occhi del mondo è il fallimento da cui non si esce più, interviene la potente parola di Gesù: “sulla tua parola calerò le reti” (5,4). È il primo cambiamento di realtà: dalla delusione al gesto fiducioso. Riconoscersi peccatori. Quale la ragione della reazione di Simon Pietro “allontanati da me, perché sono un peccatore”? Non bastava a Luca dire lo stupore (v. 9)? Quale peccato ha commesso Simone? Qualcuno pensa che ci sia a questo punto una specie di interferenza tra il nostro racconto e il brano parallelo della pesca miracolosa in Gv 21, dove però – abbiamo visto sopra – il dialogo si svolge con il Risorto: se questo fosse vero, le parole di Simone avrebbero a che fare con il suo pentimento per aver rinnegato Gesù.
Certamente non è, sul piano morale, la confessione di una vita peccaminosa; l’affermazione di Simone è da leggere piuttosto alla luce di quanto è accaduto, e cioè il miracolo della pesca. “Qualcosa è avvenuto. La potenza di Gesù fa risaltare la peccaminosità di Pietro: forse Pietro non era tra i più grandi peccatori di Cafarnao, però certamente era anche lui un uomo che, messo di fronte alla potenza, alla santità di Dio, sentiva che molte cose della sua vita non andavano” (Martini). La realtà si è di nuovo rovesciata. Simone è di fronte alla Santo di Dio e riconosce la propria creaturalità. Non avere paura. Ma ciò che colpisce è l’atteggiamento di Gesù, di grande delicatezza. Il Signore non insiste sull’essere “peccatore” del suo discepolo, come invece facciamo spesse volte noi.
Vuol dire che quella situazione di peccato che Simone riconosce e per cui chiede perdono non dice tutta la sua vita: Simone non è il suo peccato, anche se, lo sappiamo, la sua debolezza ancora si manifesterà, quando rinnegherà il Signore. Ma Gesù non gli dice “dunque, Pietro, tu vuoi seguirmi; ricordati però che sei un peccatore, quindi per prima cosa devi pentirti veramente dei tuoi peccati, purificarti, perché altrimenti non sei degno di seguirmi. Pietro si aspettava che il Signore lo confermasse nel suo sentimento di penitenza e invece Gesù dice: ‘Non temere, da ora, da questo momento sarai pescatore di uomini'” (Martini).
Forse troppe volte ci diciamo o ci sentiamo dire che siamo peccatori. È sufficiente, credo, ricordarcelo sinceramente nella preghiera dell’Ave Maria e all’atto penitenziale della messa e all’esame di coscienza della Compieta (quando, tra l’altro, non riconosciamo il nostro essere peccatori, ma chiediamo perdono per i peccati effettivamente commessi). Ripeterlo troppe volte non può essere una scusa per non cambiare? Quello che conta davanti agli occhi di Dio non sembra essere il nostro peccato, ma il desiderio di conversione, e soprattutto la sua grazia che ci incoraggia ad andare avanti. Questo è il cambiamento di realtà: perdonati dal Santo, tirare le barche a terra, lasciare tutto (anche i nostri peccati) e seguire Gesù (v. 11).