È un dono prezioso potersi ritrovare ogni domenica attorno al Signore e trovare un padre buono che non ci respinge. Le parole dell’apostolo Paolo possono applicarsi anche alla santa liturgia: “Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Cosi affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cosi cari”. Sì, tutti, dal più piccolo al più grande, siamo diventati cari alla Liturgia domenicale.
Potremmo dire che si è “affezionata” a noi. Ogni domenica riceviamo da lei “la parola divina della predicazione”, e si rallegra, quando può dire, assieme all’apostolo: “avete accolta la predicazione non quale parola di uomini, ma, com’è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete”. Il Vangelo, in effetti, non è una parola vuota.
È una parola che scende da Dio. Se noi l’accogliamo diventa forte; distrugge peccati e cattiverie; smuove montagne di diffidenza e riempie voragini di indifferenza; scioglie freddezze agghiaccianti; dona nuovi sentimenti di misericordia, di amicizia, di tenerezza. Si, il Vangelo è il pane, il nutrimento che questa buona madre, ch’è la Liturgia, offre a tutti coloro che partecipano. Ascoltiamo il Vangelo e non disperdiamoci a seguire le parole vane. Abbiamo tutti bisogno di parole vere per la nostra vita. Fuori della Liturgia è facile essere preda della solitudine, è facile lasciarsi schiavizzare da questo o quel padrone, è facile lasciarsi suggestionare da questo o quel maestro.
E, talora, il padrone e il maestro di noi stessi, siamo proprio noi. Siamo noi che ci schiavizziamo, illudendoci che la libertà sia fare quello che vogliamo. No, la felicità non sta nel fare quello che si vuole. Ecco perché Gesù, oggi, ripete anche a noi “Uno solo è il vostro maestro, il Cristo”. Non noi, né altri, ma solo il Signore è il nostro maestro e il nostro pastore. Il profeta Malachia si scaglia contro i falsi pastori “voi vi siete allontanati dalla retta via e siete d’inciampo a molti con il vostro comportamento…”.
Cosa accade se proviamo a mettere il “noi” in questa frase? Il testo suonerebbe cosi: “noi ci siamo allontanati dalla retta via e siamo diventati d’inciampo a molti con il nostro comportamento”. È un esame di coscienza che dobbiamo fare. Non basta infatti contentarsi di qualche pratica esteriore. C’è bisogno di un cuore nuovo. È tutta qui la polemica di Gesù con i farisei, o meglio, contro quel fariseismo ch’è dentro ognuno di noi quando c’è distanza tra il nostro dire e il nostro fare, tra le nostre affermazioni di principio e i nostri comportamenti. Gesù stigmatizza questa divisione.
Ognuno di noi ha i suoi “filatteri”, ognuno allunga le proprie “frange” e ognuno ama farsi chiamare con titoli altisonanti. Erano cose significative. I “filatteri” erano delle piccole scatole che contenevano la Scrittura e che aiutavano a ricordare le Parole del Signore, e le “frange” servivano per ricordarsi di tutti i comandamenti e metterli in pratica. Non basta però allargare i filatteri, allungare le frange e amare i posti d’onore per farsi ammirare dagli uomini. Quel che conta è farsi amare da Dio, è sentirsi figli suoi.
Questo è il grande onore che dobbiamo cercare; questa è la grande dignità che riempie il cuore e che nessuno può toglierci. È quanto dice il Signore: “Il più grande tra voi sia il vostro servo, chi invece si innalza sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”. Il Signore Gesù ci ha dato per primo l’esempio.