Il brano evangelico di questa domenica ha due fulcri: il camminare di Gesù sull’acqua e il salvataggio di Pietro che affonda. Lo scenario è la notte, il lago di Galilea in tempesta, una barca sballottata dalle onde. Dentro questo scenario monta la paura dei discepoli. Infine tutto si placa: mentre spunta il giorno, Gesù si manifesta. L’evangelista Matteo, raccogliendo l’antica tradizione cristiana, dispone molto sapientemente questi elementi narrativi; ne risulterà una potente catechesi sulla fede. Tutto ha inizio alla fine del pasto improvvisato dei cinquemila; quello ascoltato nella liturgia di domenica scorsa.
La notte è già cominciata. Gesù “costringe” i discepoli a imbarcarsi verso l’altra riva; lui intanto avrebbe congedato la gente. Stupisce quest’ordine perentorio del Signore, senza un apparente perché. Per di più i discepoli partivano senza il Maestro. Sarebbe sembrato più saggio fermarsi lì, attendere il mattino successivo e intraprendere il viaggio insieme, con il favore della luce. Si scoprirà alla fine quanto fu importante l’esperienza di quella notte di terrore. Gesù era salito sul monte, in cerca di quell’intimità con il Padre che il giorno prima gli era stata impedita dall’incontro con le folle sbandate. La barca, ormai lontana da Lui, faticava a procedere nella notte, ostacolata dal vento contrario.
Notare: l’attenzione del narratore non va sui discepoli in difficoltà, ma sulla barca minacciata dalle onde. Quella barca è una metafora della Chiesa, e forse anche della vita di ognuno. I venti contrari rappresentano le difficoltà della storia, le tentazioni, gli scoraggiamenti, le paure, i rischi. Un mare tempestoso, dentro il nero della notte, è figura della morte che sempre insidia e minaccia. È fondamentale farne esperienza. Da ore ormai si rema a fatica; la notte sta per finire e la riva è ancora lontana. A colmare la misura delle paure, ci si mettono anche i fantasmi. Ne vedono uno camminare sull’acqua in tempesta. Istintivamente urlano.
Quell’urlo rappresenta tutto l’irrazionale che emerge in ciascuno di noi quando ci sentiamo persi. Avevano certo dimenticato la parola del Salmo che cantava: “Nel mare ti apristi una via, un varco tra masse di acqua; eppure nessuno riconobbe la tua orma”(Sl 77,20). Inaspettatamente però arriva loro una voce nota, rassicurante: “Coraggio, sono io, niente paura”. Il Maestro, opportunamente accorso loro in aiuto, si presenta con le stesse parole con cui il Padre si era presentato a Mosè, secoli prima: “Sono io”. Come dire: ci sono; sono con voi; non siete soli. Gesù continua ancora oggi a comportarsi così: quando gli avvenimenti sembrano avere il sopravvento e tutto appare perso, dal profondo dell’anima senti salire una Parola misteriosa e rassicurante: “Non temere; Io ci sono; sono con te per proteggerti”. A Pietro però quella voce non basta; esige un’assicurazione supplementare e lancia una sorta di sfida al Maestro: “Se veramente sei tu, comandami di venire a te”. E Gesù: “Vieni pure”. Pietro, con l’irruenza che lo distingue, scende in acqua e comincia a camminare.
Poi la paura ha la meglio e lui affonda. Ancora un urlo: “Signore, salvami!”. Una mano si tende e lo salva. Poi la voce conosciuta rivela Pietro a sé stesso: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Pietro è uomo di poca fede. La misura della sua fede era stata sufficiente per ubbidire al Maestro, scendere in acqua e cominciare la marcia di avvicinamento, ma non oltre. La paura della tempesta fu più forte della fiducia in Colui che lo chiamava. Pietro era uomo di mare e sapeva quali sono le possibilità di un poveraccio di fronte agli elementi scatenati. L’esperienza del marinaio prevalse su quella del credente. E affondò. Ma ebbe l’umiltà di lanciare quel grido: “Salvami!”. E sperimentò che la salvezza gli era venuta dall’esterno, ben oltre le proprie capacità. Poi Gesù e Pietro salgono a bordo, il vento cade, il mare si placa. È la pace.
A quelli che erano in barca, non rimane che prostrarsi e confessare: “Davvero tu sei il Figlio di Dio”. La fede è dunque la catechesi che questa narrazione sottende. La vicenda di Pietro e degli altri insegna che la fede non prescinde mai dall’obbedienza: obbediscono i discepoli nel mettersi in barca in condizioni precarie; obbedisce Pietro nello scendere dalla barca in mezzo alle acque infuriate. Tutti accettano il rischio della traversata notturna e sperimentano la minaccia delle forze del caos. È il prezzo da pagare per entrare nella gioia della salvezza gratuita, inaspettata, e nella certezza della presenza del Figlio di Dio.