Una scuola per conoscere l’islam

Incontro con padre Lacunza Balda, rettore del Pontificio istituto di studi arabi e di islamistica

Padre Justo Lacunza Balda, basco, nativo della Navarra, è stato invitato, nei giorni scorsi, dall’istituto Conestabile della Staffa di Perugia per parlare di Islam. Lacunza Balda, attualmente rettore del Pontificio istituto di studi arabi e di islamistica (Pisai) con sede a Roma, è un Padre Bianco dei Missionari d’Africa. Ha studiato islam e lingua araba a Roma e Tunisi, con un dottorato a Londra alla Scuola di studi orientali e africani. Ha vissuto in Paesi arabi, africani e asiatici, dove ha condotto specifiche ricerche sul mondo musulmano. Gli abbiamo rivolto alcune domande. Padre Lacunza Balda, quale attività svolge il Pisai e da chi è frequentato? ‘L’istituto, a livello accademico, svolge una doppia attività: studi di lingua araba e studi islamici. È sotto l’autorità della Congregazione per l’educazione cattolica ed è gestito dalla società dei Missionari d’Africa, chiamati Padri Bianchi. Il suo scopo è quello di preparare i cristiani ad affrontare le sfide che vengono dal mondo islamico, con particolare riferimento al dialogo interreligioso. Rilascia diplomi di laurea di studi arabi e islamici e anche dottorati: è a tutti gli effetti un’università della Chiesa. Quest’anno sono 52 gli studenti iscritti, provenienti da venti Paesi diversi e tra loro ci sono sacerdoti, religiosi e laici’. Dopo l’11 settembre e i recenti fatti terroristici avete riscontrato un incremento di interesse verso questo tipo di studi? ‘L’interesse è aumentato, ma voglio precisare che non è facile investire tre anni in studi di laurea di questo tipo. L’istituto offre anche un corso di introduzione all’islam in lingua italiana, con particolare riferimento ai capisaldi della storia e della legge islamica, del Corano e delle questioni del dialogo interreligioso’. Qual è l’attività dei Padri Bianchi? ‘Il loro lavoro (come è indicato dal nome Missionari d’Africa) è quello di portare la presenza e il pensiero della Chiesa alle popolazioni africane, arabe e musulmane. Un lavoro che è anche testimonianza. Entrare in dialogo significa percorrere il cammino degli altri, vedere il modo di pensare, agire e credere degli altri, cercando di comprenderlo con gli occhi dell’altro. E questo non è facile. Nello stesso tempo ognuno deve mantenere la propria identità, così che uno riesce a dialogare, a rispettare e sapere esattamente dove arrivano i propri confini’. Nei suoi viaggi nei paesi musulmani che tipo di difficoltà ha incontrato? ‘Difficoltà che si incontrano vivendo in Paesi a maggioranza musulmana, dove le minoranze cristiane non hanno la libertà religiosa. Ma anche tutte quelle difficoltà legate alle identità nazionali, costruite soprattutto dopo l’indipendenza dei Paesi cosiddetti musulmani: oggi non si può più parlare di mondo arabo, ma di Marocco, Tunisia’ In un’epoca di grande secolarizzazione come la nostra, c’è un grande cambiamento nel modo di valutare, promuovere ed approfondire la propria fede. Cosa significa essere cristiani, buddisti, in un mondo che a livello di cultura e di religione è molto diversificato, e dove in una stessa città, in uno stesso villaggio o paese ci sono persone di estrazione diversa, di religione diversa? Questa è la grande sfida’.In futuro come saranno secondo lei i rapporti con il mondo islamico? ‘Dipende molto dal modo in cui noi siamo preparati, ma anche i musulmani d’Europa devono avere un grande desiderio di emulazione per la nostra cultura. L’Europa non è soltanto guadagno, soldi e economia, ma è anche diritti umani, un insieme di civiltà, un modo di capire la libertà’.

AUTORE: Manuela Acito