Il mondo ha bisogno di pluralismo in positivo: Di tolleranza senza riserve mentali, ma non solo. Di accettazione cordiale, ma non solo. Ha bisogno del riconoscimento dell’altro sempre e comunque come portatore di valori. Vivremo davvero in pace solo quando saremo diventati capaci di entusiasmarci per la diversità dell’altro. Quando, d’istinto, scriveremo Altro con la maiuscola. Quando ci rapporteremo a lui non benché altro, ma proprio perché Altro. Nel giugno del 1963, poco dopo la sua morte, venne aperto il testamento di Papa Giovanni. ‘Nella mia vita ho sempre cercato più quello che unisce che quello che divide’. Lapidaria come un’epigrafe dettata da Giulio Cesare in persona. Gioiosa come l’esame di coscienza di un Boy scout alla fine di una giornata vissuta davvero bene: ‘Nella mia vita ho sempre cercato più quello che unisce che quello che divide’. Solo i semplici, nel senso evangelico del termine, possono permettersi di riassumere una vita intera con frasi di questo tipo, di un’intensità folgorante. A noi sempliciotti questo non è possibile. Di più: oggi mi accorgo di averla interpretata, quella frase, in maniera riduttiva, come espressione di un’anima bella, di averla accolta e ammirata in chiave individualistica, come cifra di un cammino tutto personale di vita interiore essenziale e coerente. C’è molto di più, in quella frase. C’è il potenziale necessario per rinnovare il mondo. Rifrangendosi in mille e mille scelte specifiche, personali e politiche. Nella corretta impostazione del rapporto uomo / donna, ad esempio, che dovranno imparare a sostituire l’equivoco ‘Ti voglio bene’ con quel ‘Voglio volerti bene’ che -solo- può fondare una coppia degna di questo nome. Nelle grandi scelte di politica internazionale, ad esempio, che dovranno conciliare le loro con le nostre istanze morali, i loro con i nostri interessi. È un’utopia, certo! Chi mai riuscirà sempre e comunque a cercare quello che unisce e a mettere da parte quello che divide? Nessuno. Utopia: traguardo letteralmente irraggiungibile, nella sua materialità. Ma chi si proietta con tutto se stesso verso l’utopia ne esce trasformato. È pur vero che in questo nostro tempo di nanerottoli che credono ai cannoni vincono le peggiori versioni del realismo. Ma è una sbornia. Passerà. Il primo polo della morale è l’accettazione della realtà così com’è. Ma l’altro polo, dialetticamente connesso al primo, in modo da definirsi l’uno rispetto all’altro, è il proiettarsi verso il dover essere della realtà. A noi Cristiani è stato insegnato che questo proiettarsi è di alto profilo, altissimo. Una sbornia. Passerà. Deve passare.