Nelle prossime due domeniche il Vangelo di Luca ci presenta due parabole sulla preghiera. La prima, quella del giudice e della vedova insistente, è introdotta redazionalmente da Luca stesso che ne spiega il contenuto: “Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi” (Lc 18,1). Come vedremo, però, la parabola non tratta solo del pregare. Quella che verrà proclamata la domenica successiva, la parabola del fariseo e del pubblicano, invece, è introdotta da un’altra formula redazionale, “Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9), ma in effetti si sta parlando di “due uomini (che) salirono al tempio a pregare” (Lc 18,10), cioè ancora della preghiera. Il ritorno di Gesù.
Il lezionario ha tralasciato quel brano che va dal racconto dei dieci lebbrosi guariti (Lc 17,11-19, ascoltato domenica scorsa) fino al nostro vangelo, e che contiene diciotto versetti sui giorni del Figlio dell’Uomo ed il regno di Dio. A questi Luca fa seguire la parabola sulla vedova insistente, racconto talmente collegato a quanto viene prima, che molti studiosi ritengono faccia parte integrante del cosiddetto discorso “escatologico”; ed ecco perché al v. 8 del Vangelo che ascoltiamo oggi compare di nuovo il Figlio dell’Uomo che deve tornare. I discepoli come la vedova. Siamo tutti nella condizione della vedova, perchè la parabola parla di noi, cristiani di oggi. “Come la vedova privata di ogni sostegno e in preda a ogni ingiustizia, i discepoli saranno perseguitati e consegnati senza difesa agli attacchi dei nemici (Lc 18,7b). Come al popolo oppresso in Egitto, come a Israele deportato da Babilonia, privato dello sposo e ridotto all’abbandono della vedovanza, alla Chiesa dei discepoli di Gesù resterà soltanto il grido (gridano giorno e notte verso di lui; 18,7b).
Il grido è una parola che non ha più la forza di articolarsi. È la parola di chi giunge al più profondo dell’angoscia. I discepoli faranno esperienza di quest’angoscia, quella di chi si sa eletto (e Dio non farà giustizia ai suoi eletti?; 18,7a) e si vede comunque attaccato da tutti i lati dagli uomini, abbandonato da Dio stesso, un Dio che sembra sordo al loro grido (li farà a lungo aspettare?; 18,7c)” (Meynet). Lo scandalo dell’attesa. Sì, perché qui Dio è scandalosamente paragonato ad un giudice cattivo e iniquo. Certo, non dobbiamo mai prendere alla lettera tutto quanto è scritto nelle parabole… Ma sta di fatto che il giudice non è fedele al compito che gli spetta, quello di fare giustizia. Non sarà per caso che anche Dio si sta facendo attendere troppo, allo stesso modo in cui la giustizia del giudice non si manifesta? La parabola finisce con quello che gli americani chiamano l‘happy ending e caratterizza sempre i finali dei loro film: “Vi dico che farà loro giustizia prontamente” (Lc 18,8).
Il dubbio però ormai è venuto a tutti, perché le promesse di Dio non si realizzano ancora. Per questo motivo Fitzmyer sostiene che la parabola di Gesù era troppo “forte” anche per Luca, che avrebbe aggiunto quei versetti 7-8a che correggono l’immagine di Dio cattivo giudice. Sta di fatto che né la parusia, né il ritorno del Figlio dell’Uomo, né il Regno si sono realizzati. Anche l’evangelista lo sente, e se ne rende ben conto. A fronte della percezione dei primi discepoli che erano con Gesù, Luca è parte di quella terza generazione di cristiani che sa bene cos’è l’attesa. E in questo tempo avvengono le ingiustizie. Tutti i credenti, come la vedova e noi, siamo sottoposti ad ogni sorta di persecuzione. È il momento della grande prova. È un tempo disperatamente lungo, che pare non finisca mai. Quanto accade oggi nel nostro mondo – e che probabilmente è sempre accaduto – non fa altro che confermare quanto accadeva alla vedova.
Quante volte dobbiamo rivolgerci anche noi a Dio, e dover a volte tristemente constatare che non siamo stati esauditi? Quante volte Dio ha avuto il volto del giudice crudele, che permette le guerre e la morte degli innocenti? Quanto dobbiamo anche noi aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. In questa attesa si gioca la nostra fede. Noi attendiamo e come la vedova andiamo ogni giorno dal giudice, e il Signore risponde che subito verrà, non si farà aspettare: prontamente interverrà. Ma se per Dio “mille anni sono come un giorno”, per noi rimangono invece tali. Abbiamo quindi una sola possibilità per uscire dalla disperazione dell’attesa: la preghiera. Questo è il messaggio della parabola. Gesù raccomanda la preghiera insistente a Dio, specialmente necessaria nei momenti di persecuzione, come unica soluzione per perseverare e non perdere la fede.