“Una felice occasione per un nuovo innamoramento del nostro essere italiani, dentro l’Europa unita e in un mondo più equilibratamente globale”. Così ha definito la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia il cardinale Angelo Bagnasco. Sono parole impegnative, nel solco di una costante attenzione a promuovere occasioni e concreti percorsi di sviluppo della “concordia civile” e della “responsabilità per il bene comune”. Servono “visioni grandi” e “le nostre comunità cristiane sono chiamate a fare la loro parte”. L’Unità, ben prima della proclamazione formale, il 17 marzo 1861, comincia con la spedizione dei Mille, partita il 5 maggio 1860. Senza quella rocambolesca e lucidissima avventura lo spazio italiano sarebbe stato organizzato con tutta probabilità, dopo la guerra del 1859 e le insurrezioni, in forma confederale o tutt’al più federale, sotto la benevola e interessata tutela francese. Da Quarto iniziano giustamente allora le celebrazioni, alla presenza del presidente della Repubblica. Proprio alla vigilia, a Genova si è svolto un incontro preparatorio alla Settimana Sociale sul tema dei 150 anni, aperto dal discorso del presidente della Cei. È stata anche l’occasione per riprendere quel dialogo tra Benedetto XVI e il presidente della Repubblica svoltosi il 29 aprile scorso in occasione del concerto offerto dal capo dello Stato al Papa per il quinto anniversario del pontificato. Si era notata la grande convergenza e la comune prospettiva. Nel messaggio al convegno di Genova il presidente Napolitano ha ribadito quanto già aveva detto a Benedetto XVI, sottolineando che “ancora una volta il contributo dei cattolici può risultare essenziale” nel Paese. Il presidente della Cei ha ribadito che, in questo momento complesso, di frammentazione e di riflessione “le nostre comunità cristiane sono chiamate a fare la loro parte. L’Italia deve scoprire ancora una volta che può contare sempre sulla Chiesa, sulla sua missione, sul suo spirito di sacrificio e la sua volontà di dono”. Siamo nel pieno di un passaggio molto delicato, dal punto di vista della cultura e dell’ethos collettivo, e l’intervento del presidente della Cei va in profondità perché, se ha parole di fiducia, di speranza e, dunque, ottimistiche, “tale nuovo ottimismo non matura se non nel crogiolo del pensiero animato da domande impegnative”. La “concordia civile” e “l’esercizio condiviso della responsabilità per il bene comune” non nascono in astratto. Sono “patti di amicizia civile consapevolmente contratti ed esplicitamente fondati su specifiche opzioni di valore”. Ecco, allora, un programma per i 150 anni. Da un lato, una seria ricerca e discussione storiografica; dall’altro, una consapevole proposta d’identità e di missione. Sono i temi che saranno al centro della Settimana Sociale, impegnata a disegnare “un’agenda di speranza per il Paese”, a Reggio Calabria dal 14 ottobre, e poi, dal 4 dicembre, del decimo Forum del progetto culturale, proprio sui 150 anni. Francesco BoniniL’unità nazionale: memoria condivisa“L’Unità d’Italia fa parte del bene comune” e “la ricorrenza dei 150 anni dall’Unità dell’Italia dovrebbe trasformarsi in una felice occasione per un nuovo innamoramento del nostro essere italiani”. Nello stesso tempo, però, è necessario superare “l’indifferenza verso le istituzioni”, che “è una mancanza grave e crescente e prelude alle più varie forme di frattura nel Paese”. Ad affermarlo è stato l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, nel saluto che ha portato lunedì 3 maggio al convegno su “L’unità nazionale: memoria condivisa, futuro da condividere” organizzato a Genova dal Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani e dall’arcidiocesi in vista della 46ª Settimana Sociale. Proprio il ruolo dei cattolici in politica, a servizio del bene comune, è stato al centro del messaggio inviato in occasione del convegno dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Il contributo dei cattolici – ha affermato Napolitano – può risultare essenziale al fine di promuovere quel confronto aperto e costruttivo tra diversi orientamenti che è cruciale per l’attuazione delle necessarie riforme istituzionali e per il perseguimento di obiettivi d’inclusione sociale e integrazione culturale”. Napolitano ha ricordato “il grande contributo che la Chiesa e i cattolici hanno dato, spesso pagandone alti prezzi, alla storia d’Italia e alla crescita civile del Paese”. Lo storico Gianpaolo Romanato ha spiegato che la guerra alla Chiesa, che si volle ingaggiare in occasione dell’Unità d’Italia, “produsse l’effetto di demolire l’unico sentimento che accomunava gli italiani, ossia il senso di appartenenza alla Chiesa”, al punto che “il vuoto, anche civile, che si è aperto allora, non è stato ancora colmato”. Romanato ha poi parlato del periodo di governo democristiano, un’epoca “composta di luci e di inevitabili ombre, che terminò malamente in circostanze che hanno enfatizzato solo gli errori e le colpe, oscurando tutto il positivo di una storia di quasi mezzo secolo”. Concludendo i lavori del convegno, il sociologo Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato, ha spiegato che “fare i conti con i 150 anni di storia politica unitaria che abbiamo alle spalle” impone “di riconoscere che siamo chiamati a esercitare la speranza cristiana anche come pensiero, come studio e come capacità di riforma e di rinnovamento politico”.