Mi ci sono voluti diversi decenni di attività pastorale, ma alla fine ho imparato anche io a mettere la Bibbia alla sorgente delle mie omelie. Duro di testa? Sicuramente sì, ma non è dipeso da questo. O perlomeno non soltanto da questo. Quando studiavo teologia al Laterano, la Bibbia veniva citata a conferma delle (bellissime) tesi di san Tommaso. Come insegnanti di sacra Scrittura ho avuto prima Claudio Zedda, bravo ma freddino, poi Francesco Spadafora, un biblista di una rozzezza più unica che rara, che veniva ai Corsi riuniti con i villi olfattivi (leggi: i peli del naso) che gli fuoruscivano dalle narici quasi quanto Il Secolo d’Italia dalla tasca della talare. Nell’aprile scorso l’Amministrazione comunale di Cosenza, sua città d’origine, per bocca della signora assessore alla Comunicazione (Dio la perdoni) lo ha commemorato con parole degne di un sensale che commenta la Divina Commedia: “Spadafora appartiene a quella genia di biblisti straordinari che partono dalla concezione dell’uomo e dall’interpretazione delle parole di Cristo non in senso tautologico, ma come chiave autentica di approfondimento, senza esclusione alcuna, senza distinzione tra la fede e il laicismo”. Gnaffe. Ascoltando da lui, allora, nei primi anni ’60 del secolo scorso, quelle che oggi mi appaiono solo come rabbiose e risibili cannonate a salve contro l’Istituto Biblico, il card. Bea e soprattutto il Segretariato per l’unità dei cristiani che Giovanni XXIII gli aveva affidato, io, se in quel tempo amavo poco la Bibbia, arrivai quasi a odiarla. Mi ci sono voluti più di quarant’anni per capire che, in Chiesa, o si commenta la Bibbia o si tace. Tacere adorando? Certo! Ma anche non adorando, l’importante è tacere quando uno non ha letto prima la Bibbia e non si è sforzato di capire quello che la Bibbia dice. “Fontale”: solo da lì parte l’insegnamento autentico. È un sacrilegio prendere la Bibbia come spunto per le proprie personali elucubrazioni. Sacrilegio. Sono un sacrilegio i fervorini. Sissignori, i “pii fervorini”, quelli proposti “con il cuore in mano”, con sovrabbondanza di “lacrime e sospiri”: sacrilegio! Ma per grazia di Dio nel 2007, quando fondammo l’associazione di volontariato informatico “Il Gibbo”, tra i diversi punti del nostro programma emerse in prima fila la lectio divina settimanale: non l’abbiamo mai tralasciata, per grazia di Dio. Il giorno dell’Ascensione ho avuto modo di ascoltare l’omelia di un confratello, peraltro carissimo. Una pessima performance. Un buon fervorino di pessimo gusto, avrebbe detto Gozzano. Se continueremo così, non faremo altro che confermare la pessima tendenza tanto diffusa fra la nostra gente: quella di ricordare tante immagini bibliche senza prenderle per quelle che sono, modi di esprimersi, senza nemmeno sfiorarne i contenuti teologici che illuminano, quelli sì, tutta la vita.