Una Chiesa libera e aperta

Nocera Umbra. Intervista a padre Enzo Procacci, ex missionario in Madagascar

Padre Enzo Procacci, classe 1940, dell’Ordine religioso de La Salette, era partito da Nocera Umbra nel 1970 per la missione in Madagascar. Con lui approfondiamo il senso del mese missionario appena trascorso. Com’è la vita in Madagascar? “Nei villaggi della savana ho trascorso gli anni più belli della mia vita. Non c’è acqua corrente né energia elettrica; lampade a petrolio e acqua di fiume, qualche pozzo scavato con l’aiuto degli amici e con infinito pericolo per la mancanza di attrezzature. La posta arriva ogni 20-30 giorni. Un disagio per le cose importanti, ma un mondo veramente libero dove il tempo non conta”. Dopo il ritorno in Italia a causa della malattia, come è cambiata la tua missione? “Dopo la lunga convalescenza sono ripartito con ritrovata energia. Mi sono immerso nel lavoro parrocchiale, prima a Torino poi a Roma. Ci vuole un respiro ampio, una mente aperta, un cuore grande, un’anima semplice per vivere la complessità di una grande parrocchia di città. Ho camminato spesso per le vie della parrocchia, cercando di incontrare tutti con semplicità e gioia e da tutti ho ricevuto un senso di profonda umanità, quella umanità, che a volte, preso da mille cose, il sacerdote dimentica”. Nella Chiesa di oggi è più importante il parroco o il missionario? “Il prete deve essere l’uomo di tutti. È uomo di Dio, per il suo ministero ma, al contempo, uomo di tutti. Si è sacerdoti per il popolo di Dio, non per se stessi. In questa dimensione di grande profilo si può essere parroci di un piccolo paese o missionari in terre vastissime. Per cinque anni in Madagascar sono stato missionario-parroco di una parrocchia più grande dell’Umbria. Quello che conta è il cuore, la fede, la dimensione divina che il sacerdote deve avere raccolta nella povera realtà della dimensione umana. Solo così il sacerdote-missionario sarà l’uomo di tutti e tutti lo sentiranno come loro fratello e padre”. Quanto contano le unità pastorali? “L’unità pastorale è fondamentale per assicurare la crescita del regno di Dio. È una realtà già esistente ma che va curata, amata. Il cristiano, per non rinnegare se stesso, è chiamato sempre ad andare oltre i propri confini. Chiusa in se stessa la comunità cristiana muore. È urgente superare i ristretti limiti della parrocchia per aprirsi ad altri, è la legge del Vangelo. L’unità pastorale, verso la quale si cammina lentamente, è la grande parrocchia del domani, libera dai piccoli campanilismi locali, aperta al soffio dello Spirito”.

AUTORE: Massimo Bontempi