Viviamo in un mondo in cui la voce di Dio rischia di cadere nel vuoto, perché la società del benessere e della confusione mediatica tentano di soffocarla. Siamo catturati da troppi interessi, riceviamo troppi richiami, siamo appesantiti dalle troppo cose che possediamo in casa e non riusciamo più a trovare lo spazio per pensare e per ascoltare il sussurro interiore dello Spirito. Quando arriviamo a percepire il richiamo esigente di Gesù nel profondo del nostro cuore, ci facciamo anche noi oscuri in volto, come quell’uomo ricco, che non seppe rinunciare ai suoi molti beni. Crediamo anche noi in Dio, osserviamo i suoi comandamenti più importanti, ma non abbiamo nessuno slancio interiore di giovinezza spirituale. Siamo vecchi e sclerotizzati nella fede, adagiati comodamente sulle nostre poltrone di casa, senza entusiasmo e voglia di impegnarci. Siamo cammelli pesanti e gibbosi che nemmeno tentano più di entrare per la cruna dell’ago, tentativo ritenuto impossibile e velleitario.
Il vangelo di oggi può servirci da campanello d’allarme per svegliarci. Gesù sta camminando sulla via per Gerusalemme e incontra uno strano personaggio che corre ad inginocchiarsi davanti a lui. Da l’impressione di essere uno di quei devoti un po’ introversi e scrupolosi che si inginocchiano con facilità davanti ad ogni statua di santo. Anche la sua domanda rispecchia l’individualismo di chi pensa a salvarsi l’anima, più che a fare del bene guardandosi intorno: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Gesù non sembra gradire quell’apparente sviolinatura contenuta nell’appellativo “buono” che l’uomo gli rivolge. Buono è soltanto Dio, dice, gli uomini lo sono di riflesso e in maniera molto inadeguata. L’attributo si applicherebbe bene a lui se l’uomo lo ritenesse Figlio di Dio, ma non c’è da aspettarsi tanto. Comunque Gesù risponde che la via per la salvezza è quella che ha tracciato Dio con i suoi comandamenti, basta osservarli.
A scanso di equivoci, il Maestro buono gli elenca, a titolo di esempio, sei dei sette precetti della seconda tavola delle legge divina, che riguarda l’amore del prossimo. Ha capito che quell’uomo ha bisogno di sviluppare la dimensione sociale della fede come antidoto all’intimismo. E l’interessato risponde con sincerità: “Maestro, tutte queste cose lo ho osservate fin dalla mia giovinezza”, ad esse sono stato educato e in esse sono cresciuto fin da bambino. Queste parole suscitarono la simpatia di Gesù, che “fissò lo sguardo su di lui e lo amò”: aveva riconosciuto in quell’uomo una persona onesta, in ricerca di vero senso per la sua vita. La sua domanda rispecchiava una chiamata di Dio che lo spingeva a dare di più. Perciò gli lanciò una proposta ardita: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni e seguimi”. Fai come hanno fatto i miei apostoli che hanno lasciato tutto e mi hanno seguito.
Fu una vocazione fallita. Quell’uomo era troppo condizionato dal benessere in cui viveva, e al quale non seppe rinunciare. Si fece scuro in volto e se ne andò con la pena nel cuore. L’evangelista commenta: “Aveva molti beni”. Da qui, il commento triste e duro di Gesù: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Questo paradosso lapidario e folgorante sconcertò perfino i discepoli, pur abituati a quel linguaggio. La grandezza sgraziata e contorta di un cammello rendeva ancora più impossibile il suo passaggio per la piccola cruna di un ago. L’immagine era drammaticamente umoristica, ma chiara. Traduceva il detto dello stesso Gesù: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). Sono due divinità in concorrenza, ugualmente esigenti, che non ammettono compromessi.
Le società capitalistiche sono necessariamente atee. Correre dietro ai soldi, al guadagno e alla ricerca dei beni di questo mondo allontana da Dio. La ricchezza rischia di essere uno schermo invalicabile alla fede in Dio. Sia di esempio la nostra società del benessere ad ogni costo, messa finalmente in crisi dal collasso capitalistico di questi mesi. I discepoli, disorientati dalle dure parole di Gesù, si domandavano, come facciamo noi: “Chi può essere salvato?” Tutti ci sentiamo coinvolti da questa mentalità e da questa cultura capitalistica di cui è imbevuta la nostra società. Come ci si salva? Gesù risponde: “Tutto è possibile a Dio”, perché tutto è grazia sua, soprattutto la nostra salvezza.
È Dio che ci salva, anche per quel residuo di amore e di solidarietà che ancora abbiamo, e che ci spinge ad aiutare chi è più povero di noi. Dio salva mediante le opere di amore (Mt 25,34-40). Gesù non chiese a tutti di vendere i propri beni e di darne il ricavato ai poveri, ebbe amici benestanti che lo aiutarono con la loro generosità (Lc 8,3). Chiese il distacco completo e totale ai suoi apostoli in vista della loro missione. Lo confessa Pietro, dicendo: “Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Gesù specificherà fin dove si estende quel distacco: casa, fratelli, sorelle, madre, padre, figli e campi. Praticamente abbraccia persone e cose a cui si è legati. La dedizione totale al regno di Dio richiede la libertà più assoluta, che solo alcuni possono conquistare per diretta chiamata di Dio. Speriamo che Dio chiami ancora.