Stefano De Martis
La politica è in cerca di una bussola per orientarsi nell’ultimo anno della legislatura parlamentare. O se vogliamo, nel secondo anno di vita del governo Draghi, iniziato con rinnovata determinazione da parte del premier, ma in un contesto di grande confusione tra i partiti. La febbre elettoralistica – peraltro mai del tutto sopita tra un appuntamento con le urne e l’altro – ha ripreso vigore, incurante della situazione internazionale come dell’interesse generale degli italiani. Lo si coglie dall’intensificarsi dello sventolìo delle bandierine ideologiche con cui ciascuna forza politica cerca di marcare il proprio (presunto) territorio di consenso.
Certo, l’attuazione del Pnrr di qui al 2026 rappresenta una traccia da cui non si può prescindere, anche se le forze politiche spesso fanno finta di non saperlo. Così pure la gestione della fase discendente della pandemia è un impegno ineludibile che richiederà nei prossimi mesi scelte chiare, proporzionate e lungimiranti, per evitare di farsi trovare impreparati in futuro.
Ma le incognite in campo, interne ed esterne, sono molte e di grave portata. Senza una scala condivisa e trasparente di priorità, c’è il rischio che le decisioni siano il frutto non di un fisiologico confronto tra posizioni diverse, ma di un continuo braccio di ferro tra i partiti, tra i partiti e il Governo, tra il Governo e il Parlamento, tra le istituzioni centrali e quelle locali. E che alla fine non prevalgano le soluzioni migliori per il Paese, ma quelle sostenute dai più forti, dai più spregiudicati, dai gruppi che gridano di più e sanno forzare a loro vantaggio il corso delle cose.
L’insidia è presente anche all’interno di processi in sé positivi. Clamoroso è l’esempio dei bonus per l’edilizia, che hanno avuto un impatto rilevante sulla ripresa (e speriamo anche sulla transizione ecologica), ma contestualmente hanno aperto la strada a frodi e illeciti per svariati miliardi. Le pur odiose truffe sul Reddito di cittadinanza impallidiscono al confronto, e ben altra è l’indignazione collettiva che suscitano.
Per avere una bussola costituzionalmente fondata bisognerebbe riprendere in mano il discorso del giuramento di Sergio Mattarella, autentica miniera di senso delle istituzioni e di amore per la comunità nazionale. “È necessario assumere la lotta alle disuguaglianze e alle povertà come asse portante della politiche pubbliche” ha detto in quell’occasione il Capo dello Stato, e ha parlato della “dignità” come “pietra angolare del nostro impegno”. Dignità che ha una “dimensione sociale” ma anche un “significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società”.
Nelle fasi di transizione e di crisi, la tentazione della cultura dello scarto si fa più pressante. Ed è proprio qui che la politica misura la propria grandezza, nel garantire tutela per i più deboli e giustizia sociale per persone e famiglie. Se non facesse questo, la politica dichiarerebbe in un certo senso la propria inutilità. I più forti, infatti, sanno difendersi benissimo da soli.