Nell’ottobre del 2010, durante il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, Benedetto XVI definì la droga come “una divinità falsa” e “una bestia vorace” che “stende le sue mani su tutte le parti della terra” e “distrugge” la vita degli uomini. Da troppo tempo, e sempre più spesso, la città di Perugia (ma anche le altre città dell’Umbria) è al centro di questa opera di distruzione sociale e morale. Non si può non riconoscere, infatti, che la grande piaga della tossicodipendenza e del mercato della droga è diventata, per la nostra città, una vera e propria emergenza sociale. Un’emergenza costituita, purtroppo, da alcuni tristi primati – i morti per overdose ad esempio – e da una diffusione sociale sempre più estesa. Si tratta ormai di un fenomeno vastissimo, che non caratterizza più soltanto le giovani generazioni ma che investe, invece, anche gli adulti e ogni categoria sociale (professionisti affermati e padri di famiglia) e che ha lambito persino gli ambienti ecclesiali. Quella che abbiamo di fronte, pertanto, è un’emergenza sociale che non riguarda soltanto coloro che cadono in questa trappola mortale, ma che investe tutta la comunità. Nessuno si può sentire escluso dall’assunzione di responsabilità. E, soprattutto, nessuno si può sentire immune di fronte a questa piaga sociale che, oltre a distruggere migliaia di vite umane, sta contribuendo a modificare profondamente il tessuto sociale della nostra città. Nel volgere di una sola generazione, quelli che una volta erano dei rioni popolati da famiglie e studenti universitari si sono svuotati di quella humanitas viva e accogliente, per far posto a luoghi desolati in cui regnano torme di spacciatori e criminali. Prima di tutto, però, occorre capire le cause e le radici del fenomeno. Il centro del problema, infatti, si colloca direttamente nel cuore di tutte le società occidentali. In quelle società che per secoli hanno avuto come obiettivo ultimo quello di guardare in alto, di “cercare Dio”, e che adesso, invece, si sono ripiegate su stesse, confinando ogni discorso trascendente ai margini del vissuto quotidiano fino ad erigere come propri idoli dei feticci di morte dai quali nessuno può trarre la vita. Scriveva Pasolini: “La droga serve a sostituire la grazia con la disperazione, lo stile con la maniera”. Perché è accaduto questo? Probabilmente perché, avvolti in questa dominante logica utilitarista che misura tutto in costi e benefici, abbiamo smesso di pensare all’uomo e alla sua relazione con l’altro. E con esso ci siamo persi per strada, al di là di ogni retorica, la centralità della famiglia all’interno della società. Una centralità che per secoli, anzi, per millenni, nessuno aveva mai messo in discussione. Se vogliamo fornire una risposta a questo dramma dobbiamo invece ripartire proprio da qui. Dalla ricostruzione di quelle reti sociali che da sempre sono state le cellule fondamentali della società. Per far questo, però, al di là di ogni volontà umana, serve una luce, una speranza, che vada oltre le nostre incapacità e le nostre debolezze. Quella speranza è la testimonianza di Gesù Cristo. Una testimonianza che non invecchia mai ed è ancora oggi valida. Soprattutto per i consacrati, che sono chiamati, come ci ha ricordato il Papa, a servire Dio non per fama o per bramosia di potere ma in umiltà e fervore.
Un “tessuto sociale” contro la droga
Parola di vescovo
AUTORE:
Gualtiero Bassetti