Entro sei mesi sarà completata un’opera gigantesca, la costruzione di un muro, decisa dal governo di Tel Aviv, destinato a isolare i Territori autonomi del popolo palestinese dallo Stato di Israele. Non si tratterà di una semplice struttura in muratura, ma di “un mastodontico recinto dotato di sofisticate apparecchiature tecnologiche che correrà lungo i 364 chilometri della linea di demarcazione con la Cisgiordania” (O.R. 22.05.02). Il costo dei lavori sarà di circa 200milioni di dollari. Forse è una scelta determinata dalla necessità di superare il pericolo e la paura di attentati terroristici, soprattutto in una zona altamente abitata da ambo le parti e dove è facile per un terrorista mescolarsi alla popolazione e sfuggire alla sorveglianza della polizia. E’ tuttavia un’operazione che rende ancora più problematico e impressionante l’inizio di questo millennio che si voleva nato sotto auspici di convivenza pacifica e di integrazione tra popoli, culture e religioni. Fa venire in mente la “scontro tra civiltà” di cui ha parlato il politologo Samuel Huntington, uno scontro dal quale ci si può difendere solo con uno scudo fatto di pietre e tecnologia. E’ una ben triste e tragica prospettiva. Non è, certo, paragonabile alle mura che conosciamo costruite a difesa delle nostre città, mura megalitiche di origine arcaica, mura etrusche, romane, medievali. Non ha la gigantesca dimensione della muraglia cinese costruita nel 230 avanti Cristo, lunga più di 6mila chilometri, alta fino a 11 metri e di uno spessore di sette metri. E tuttavia, il muro d’Israele è tre volte più lungo del muro di Berlino, crollato nel 1989, che era lungo 106 chilometri, denominato anche il muro della vergogna, dove sono morte nel tentativo di superarlo centinaia di persone. Nessuno può discutere o mettere in dubbio decisioni che appartengono alla sfera di responsabilità e di competenza di un altro popolo e di un governo straniero, di cui condividiamo angosce e speranze, né ci permettiamo di giudicare stando al sicuro delle nostre case. Ci sia tuttavia consentito di esprimere amarezza per il contrasto che questo muro indicherà come segno evidente di vanificazione delle speranze coltivate nel cuore delle masse che affollano il nostro pianeta. Un contrasto stridente con i gesti della Chiesa, delle religioni. Proprio in questi giorni, il Papa, trascinandosi dietro le pesantezze dell’età e della malattia, sta affrontando il 96’viaggio apostolico fuori dei confini dell’Italia e continua ad andare nel mondo per ripetere fino alla consunzione e alla noia la sua raccomandazione alla pace, alla giustizia, al perdono, alla riconciliazione. Egli è andato, primo fra tutti in Polonia, all’inizio del suo pontificato, per dare una spallata al muro che divideva i due blocchi schierati in una minacciosa guerra fredda. Ha dedicato una vita nel cercare di abbattere divisioni e incomprensioni e unificare i popoli in un comune ideale di convivenza pacifica. Si è recato presso i cattolici, i cristiani delle varie confessioni, gli ebrei, i musulmani, i buddisti, i seguaci delle religioni tradizionali, ha convocato tutti ad Assisi. Ha invocato e gridato, ha profetizzato un mondo migliore, una civiltà più umana. Ci ha insegnato che “non possiamo rassegnarci” alla violenza, alla guerra, alla divisione. A meno che non torniamo alla barbarie antica o alla demenzialità della moderna violenza tecnologica.
Un nuovo muro di divisione
AUTORE:
Elio Bromuri