Non ci siamo fatti mancare neppure nel 2015 l’opportunità di trasformare il Natale in occasione di divisioni e polemiche: presepe sì, presepe no; canti e poesie natalizie sì, canti e poesie natalizie no. E così via. Con tanto di illustri nomi pronti a scendere in campo, ben muniti di solidi argomenti, per accreditare l’uno o l’altro punto di vista. Per carità, non si tratta di finti problemi o di questioni superficiali: una festa privata progressivamente dei suoi riferimenti simbolici e tradizionali rischia di rimanere un guscio vuoto, che non dice più nulla di veramente importante.
Tali e tante discussioni, però, hanno lasciato in ombra un fatto: che Natale è un giorno particolare quasi dappertutto, anche dove i cristiani sono una minoranza, come in Giappone, e anche laddove il clima proprio non si presta a slitte e renne, come nell’altra metà del nostro pianeta, che vive il culmine dell’estate. Perfino in alcuni Paesi islamici il Natale è una ricorrenza sentita, in cui cristiani e musulmani si invitano reciprocamente a casa.
“Un giorno diverso da tutti gli altri giorni”, come direbbe la Volpe al Piccolo Principe. Un giorno caratterizzato – per chi crede e chi no, per chi è cristiano e chi no – dal cordiale incontro con l’altro, dallo scambio dei doni, dalla valorizzazione della famiglia, dall’attenzione ai bambini…
Sopite le polemiche, avversari e fautori del presepe a scuola non mancheranno di regalare qualcosa ai propri cari, assaporando la strana gioia del donare, cioè di dare per il puro piacere di farlo; sostenitori e oppositori delle poesie natalizie si inteneriranno, come il Peppone di Guareschi, sentendo il proprio bambino recitare il testo – qualunque esso sia – insegnato dalla maestra. E tutti, proprio tutti si concederanno un pranzo speciale, possibilmente insieme alla propria famiglia. Come non vedere in queste dimensioni della festa, forse inquinate, ma non inficiate, dal consumismo, la presenza di autentici valori? Ogni uomo riconosce umilmente che la sua “salvezza” dipende da qualcun altro, dall’esistenza di altre persone da amare disinteressatamente e dalle quali si desidera ricevere amore.
Al di là di ogni retorica, la cristianissima festa del Natale rappresenterà per molti non cristiani e non credenti una giornata di serenità e di umana vicinanza al prossimo, un’opportunità in cui celebrare, con un varietà di “riti”, il dono della vita e la presenza degli affetti più cari. E non mancheranno coloro che troveranno il modo di compiere gesti di solidarietà. Di questo Natale, credo, dovremmo soprattutto parlare: un Natale che tutti unisce attorno alla sacralità della vita e della persona umana, capace di suscitare sentimenti di gratitudine e di fratellanza, di gioia e di responsabilità.
Perché è esattamente di questo che abbiamo tutti bisogno, credenti o meno, per recuperare fiducia e dare il meglio di noi stessi a questo Paese così provato da una crisi che è soprattutto spirituale e morale.
Senza dimenticare, come direbbe ancora la Volpe di Saint-Exupéry, che deve pur esserci qualcosa a originare tale differenza, a rendere il Natale “un giorno diverso da tutti gli altri giorni”. È il farsi presente del Mistero indicibile nel volto sorridente e nella fragilità di un bambino, nato in un luogo sperduto e deposto in una mangiatoia; Dio “a casa sua” nel mondo, fiduciosamente abbandonato al calore di due animali e alla cura amorevole di due creature umane.
Per chi ci crede, si tratta di un avvenimento davvero accaduto, richiamo e fondamento di un’esistenza rinnovata; per tutti gli altri, rappresenta comunque una storia bella, che ha ispirato i maggiori artisti a realizzare capolavori e tanta gente a rendere migliore la propria vita. Non lasciamoci rubare – direbbe Papa Francesco – la gioia del Natale!
“Una stroria bella”, indubbiamente! Senza dimenticare che non ha lo stesso significato per tutte le fedi. Altrimenti diventa colpevole relativismo religioso.
Gioia della consapevolezza che è nato il Salvatore di tutti gli uomini. Possiamo tacerlo?!