Nell’aprile del 1994, Papa Giovanni Paolo II definì l’esistenza di Giovanna Beretta Molla, che aveva donato tutta se stessa per salvare la vita della bimba che aveva in grembo, come un “vero canto alla vita, in stridente contrasto con una certa mentalità oggi dilagante”. Un “canto alla vita” che era stato, al tempo stesso, un’ode magnifica alla potenza creatrice di Dio e una testimonianza di fede grandiosa resa ai credenti di tutto il mondo. Questo canto stupendo è risuonato anche a Perugia, domenica scorsa, nella chiesa parrocchiale di Maria Regina della Pace in Santa Lucia, quando, in occasione della 35a Giornata della vita, ha preso la parola la quarta figlia della Santa, Emanuela, nata grazie al sacrificio estremo della madre. “Se non fosse per il Signore e la mia mamma, oggi non sarei qui”, ha detto la figlia di Gianna Beretta Molla. Parole semplici e lucide, pronunciate davanti ad una stupenda cornice di fedeli che avevano portato i loro figli, che nella loro purezza cristallina assumono un significato inequivocabile: il dono della vita è sacro e prezioso. E riconfermano il valore della persona e della vita umana, intangibile fin dal concepimento. Un valore senza prezzo, su cui non si può mercanteggiare o scendere a compromessi. Il momento storico che stiamo vivendo, infatti, ci impone di interrogarci seriamente sullo stile di vita e sulla gerarchia di valori che stanno emergendo nella società. Una società che sembra essere caratterizzata da “un profondo disconoscimento della verità antropologica dell’amore umano tra l’uomo e la donna” e dalla conseguente banalizzazione del matrimonio, ridotto troppo spesso ad una mera corrispondenza di affetti e di amore sensuale. Il matrimonio è, invece, sempre mater-munus e, proprio per questo, si fonda su un aspetto decisivo ed incontrovertibile: quello di essere un’unità stabile tra un uomo e una donna, aperta alla vita, espressione di un dono reciproco altissimo e profondissimo attraverso il quale la coppia diventa una “carne sola”.
Oggi, invece, si è diffusa una mentalità che ha tracciato un solco profondo tra la sfera affettiva e quella fisica. Separando lo spirito e il corpo, infatti, si sta cercando di far coincidere l’identità di un individuo solamente con la sua sessualità, riducendo di fatto l’umano a sola carne, a modesta materialità, e rimuovendo del tutto quell’intrinseca dualità tra anima e corpo che è a fondamento di ogni uomo. Il disorientamento profondo del mondo attuale che non riesce più a distinguere tra desiderio e diritto, e la Babele di lingue che parlano, spesso a sproposito, di unioni simil-familiari, rendono sempre più importante la riaffermazione della centralità della “questione antropologica”. Alla radice del bene comune, infatti, c’è sempre l’essere umano e i valori irrinunciabili della persona: ovvero l’inviolabilità della vita, la libertà come condizione di sviluppo sociale e la famiglia come “cellula primordiale” che si fonda su quella “carità coniugale” che il beato Giovanni Paolo II aveva definito come “il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla croce”. Gianna Beretta Molla e il suo marito Pietro avevano fatto di questo amore di donazione, reciproco e gratuito, il pilastro su cui fondare l’amore coniugale per costruire una famiglia in una prospettiva feconda. Pochi giorni prima del matrimonio, in una lettera al futuro marito, la Santa scrisse che “l’amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini”. Parole stupende che risuonano nei nostri cuori con la forza e la purezza di chi ha avuto un incontro autentico con Cristo e che, oggi, in questo tornante storico così inquieto, assumono un significato profetico profondissimo.