di Angelo M. Fanucci
Nella notte tra il 3 e il 4 marzo 2018 un calciatore di serie A, Davide Astori, capitano della Fiorentina, è morto all’improvviso. Il commissario straordinario della Lega, Giovanni Malagò, ha giustamente disposto la sospensione del Campionato di calcio della serie A, ma non ha potuto evitare quel senso di gelo che in casi del genere prende anche chi ama il calcio ma non è un tifoso. Ero a Pian di Massiano, quel giorno, quel 30 ottobre 1977, quando durante Perugia- Juventus morì sul campo Renato Curi, centrocampista, 24 anni, una figlia di 3 anni e un figlio ancora nel grembo di sua madre. Avevo accompagnato alla partita Gigino Rossi, un grande invalido che la vita che gli restava voleva viverla tutta, anche se vincolata a una vetusta carrozzina. Ci avevano fatto entrare sul terreno di gioco, eravamo a un passo dalla panchina sulla quale sedeva Giovanni Trapattoni.
Eravamo impegnati a seguire la partita (il Perugia era primo in classifica, ma il campionato era solo alla quinta giornata), eravamo impegnati anche a minimizzare il fastidio dell’uggiosa pioggia battente, quando Claudio Gentile si precipitò da Trapattoni e con una faccia paurosamente stravolta gli urlò qualcosa che noi non riuscimmo a captare.
Cogliemmo solo l’improvviso, innaturale silenzio che era calato sullo stadio. Sapemmo della morte di Curi solo dalla radio dell’auto sulla quale risalimmo al termine della partita. Il calcio ha una grande funzione sociale: ci permette di scaricare l’aggressività che ognuno di noi si porta dentro, stornandola da altri obiettivi, da settori della vita dove l’aggressività farebbe disastri. Allo stadio è possibile incontrare liliali giovinette, impegnate in parrocchia come catechiste, sempre esemplari, che adesso berciano come carrettieri, e quando un giocatore della squadra avversaria è a terra gridano in coro “devi morire!”, con quel lugubre salto di terza minore che ti dà i brividi.
Ma, a parte le fanciulle, tutti noi, una volta seduti in poltrona per partecipare da protagonisti alla partita del cuore, riedizione dei circenses del Colosseo, ci sentiamo eroi impegnati a brutalizzare gli avversari, insultandoli quando hanno ragione e invocando fulmini dal cielo quando hanno torto. E questo ci facilita il ritorno alla vita di ogni giorno placati, tranquilli nel seguire la strada che la nostra appartenenza a Cristo ci suggerisce, la strada della mitezza, della non violenza, dell’accettazione serena della diversità.
“Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” diceva san Paolo. Non esistono più nemici. Solo compagni di viaggio, da soccorrere quando ne hanno bisogno, da amare sempre. E se ci riusciamo è anche grazie al fatto che la riserva d’odio che alberga nel fondo della nostra anima l’abbiamo lasciata allo stadio.
Anche per questo l’interruzione del Campionato per la morte di Astori è stato un atto dovuto.