La Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (15 gennaio), che ha per tema “Migrazioni e nuova evangelizzazione”, in Italia sarà celebrata a Perugia. Abbiamo intervistato l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, che presierà l’eucaristia dell’occasione.
Quale messaggio, per l’evento, viene da una regione come l’Umbria?
“Dall’Umbria viene un messaggio molto importante: Perugia è stata la prima città d’Italia ad avere un’Università per Stranieri. Perugia, a parte la drammatica morte di Meredith Kercher, è sempre stata un luogo di convivenza pacifica: c’è una consuetudine, da parte del popolo perugino e umbro, all’accoglienza dell’immigrato, dello straniero, del profugo”.
Il tema è “Migrazioni e nuova evangelizzazione”. Come coniugare i due termini?
“L’Italia ha un milione di cattolici provenienti da tutto il mondo, ma per la maggior parte gli immigrati sono non cattolici, quindi si pone nei loro confronti la questione della prima evangelizzazione. Inoltre, si registrano ogni anno 25 mila matrimoni misti tra cattolici e non cattolici, che sono una scommessa grande. Dobbiamo poi aiutare la nostra gente a superare la paura del ‘diverso’: le discriminazioni spesso nascono dai pregiudizi. Siamo infine, come Chiesa italiana, nel decennio dell’educazione, e la prima forma di educazione, il primo atto di carità è proprio l’annuncio del Vangelo. Allora, mi sembra che migrazioni e nuova evangelizzazione debbano essere coniugate insieme perché viviamo in una realtà nuova, che non si era mai verificata prima”.
L’Umbria è una delle regioni con maggiore presenza di sacerdoti stranieri: quale contributo alla pastorale ordinaria e anche a quella per le comunità etniche?
“In Italia abbiamo 2.300 sacerdoti stranieri: diversi sono in Umbria, anche appartenenti a Ordini religiosi. Per potersi integrare concretamente nella vita delle nostre comunità, gli immigrati devono essere seguiti personalmente non solo da sacerdoti dei loro Paesi, ma anche dai nostri preti. Cerchiamo di aiutarli a vivere la ricchezza delle loro liturgie. Dobbiamo partire da questa convinzione: ogni diversità è ricchezza, se si sa coniugare nella maniera giusta, facendo naturalmente convergere il tutto verso la comunione. Infatti la Chiesa sa portare il Vangelo in ogni cultura, sa cogliere quanto c’è di meglio nelle varie culture proprio per favorire la comunione. Perché la comunione non è mai omologazione, piuttosto fa emergere i doni, i carismi, le diversità che ci sono, ma tutti uniti nell’eucaristia e nella Parola”.
Lei ogni anno celebra una liturgia con i giostrai presenti nel periodo natalizio a Perugia: come è nata questa iniziativa?
“Nacque quando ero vescovo di Piombino-Massa Marittima e, grazie a un sacerdote dei Servi della Chiesa, andai a celebrare un’eucaristia per un gruppo di giostrai a Follonica; vi andai anche l’anno dopo. Quando poi sono giunto ad Arezzo, e ora a Perugia, come vescovo, questo stesso nucleo di giostrai, integrato con altri, è venuto anche lì. Sono 16-17 anni che li incontro: nel periodo che stanno da noi, che è di circa due mesi, li aiuto a inserirsi in parrocchia. Li considero un pezzo di comunità. Quest’anno, ad esempio, c’era un gruppo di ragazzi ai quali ho fatto seguire il catechismo per alcune settimane: il prossimo anno li ammetteremo alla cresima, se torneranno qui. Il parroco della zona è attentissimo: appena arrivano li va a trovare, ha organizzato anche una festa in parrocchia con la presenza del vescovo, in modo da invitare la città a non sentirli come un corpo estraneo”.
Quali sono le prospettive per il 2012 rispetto ai problemi dei migranti e dei rifugiati?
“La gente, anche per la crisi economica, tende a chiudersi nel proprio guscio e guarda con sospetto chi arriva, quasi venisse a prendere qualcosa che già scarseggia per noi. Bisogna aiutare la nostra gente a liberarsi da ogni forma di egoismo e comprendere che ormai il mondo è un unico villaggio. Se siamo cristiani, l’annuncio del Vangelo, implicito o esplicito, è il nostro primario compito di carità verso gli altri. Gesù Cristo, nel mistero dell’Incarnazione, ha preso su di sé la nostra pelle e la nostra carne: ciò vuol dire che Gesù è quello straniero, quel migrante, quella famiglia bisognosa. Partendo dalle verità più profonde della nostra fede abbiamo sempre un aggancio per sperimentare la speranza. Se non portiamo noi la speranza, non la porta nessuno. È questa la grande sfida, soprattutto in un momento difficile come il nostro”.