Il Battista è la prima figura di riferimento dell’Avvento. Egli ha annunciato ad alta voce la prossima venuta di Cristo e del suo Regno; col suo invito a conversione ci aiuta oggi a prepararci al Natale e alla seconda venuta del Salvatore, in una parola a sperimentare la salvezza totale di Dio. Il brano del Vangelo si apre con una larga panoramica storica. Con essa Luca vuole fissare il tempo di inizio della vita pubblica di Gesù, legato all’apparizione del Battista. Alla maniera degli storici del suo tempo l’evangelista, di origine e cultura greca, stabilisce un sincronismo di date e di eventi per situare la vicenda. Educato poi alla lettura della Bibbia, introduce Giovanni il precursore alla maniera dei profeti, che sono sempre collocati nel loro tempo con un breve sincronismo di personaggi della storia ebraica (Ger 1,1-3; Ez 1,1-3; Os 1,1). La differenza sta nel fatto che egli traccia un panorama che abbraccia l’impero romano, per sottolineare l’universalità dell’evento. La comparsa di Giovanni non interessa solo la storia della Palestina, ma la storia stessa del mondo, perché apre un evento di portata universale quale è la venuta di Cristo.
Insomma quello della venuta di Giovanni, e quindi di Gesù, non è un tempo qualsiasi, è il tempo della salvezza lungamente attesa. La carrellata storica inizia con l’imperatore Tiberio (14-36); viene indicato il suo XV anno di regno come il tempo preciso della comparsa di Giovanni. Secondo il calendario siriano allora in uso in Palestina, esso cade tra il 27 e il 28 della nostra èra. Accanto a lui compare il governatore della Giudea Ponzio Pilato (26-36); il re della Galilea e della Perea Erode Antipa (4 a.C. – 39 d.C.); suo fratello Erode Filippo (4 a.C. – 36 d.C.), re delle regioni del nord della Palestina; Lisania re di Abilene, storicamente sconosciuto. Perfettamente noti sono invece i sommi sacerdoti Anna (Annano, 6-15), e Caifa (16-36), eletti e deposti dai prefetti della Siria. Come si vede, gli estremi utili alla determinazione del tempo dell’investitura profetica del Battista sono l’anno XV di Tiberio, a cavallo tra il 27 e il 28, e l’elezione di Pilato nell’anno 26.
I tempi degli altri protagonisti sono troppo larghi per la fissazione di una data. In continuità con i Vangeli dell’infanzia, Luca intende stabilire un confronto tra la persona e l’attività di Giovanni e quelle di Gesù. Giovanni è solo il profeta che precede e annuncia Cristo, il Messia atteso da Israele. Lo aveva già preconizzato suo padre Zaccaria nel suo canto di ringraziamento: “Tu bambino sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade” (Lc 1,76). Come tale è collegato simbolicamente al profeta Elia (Lc 1,17), che era scomparso sulla riva sinistra del Giordano, proprio dove Giovanni inizia il suo ministero. È un collegamento che indica la logicità del disegno di Dio che guida la storia. Giovanni rimane un personaggio dell’antica alleanza; non entra nella novità della comunità cristiana, rimane sul limitare storico a traghettare i credenti verso i tempi nuovi. Gesù dirà di lui: “Tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni; però il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Lc 7,28).
La sua appartenenza all’antica economia è indicato da Luca anche con il fatto che egli non ha mai attraversato il Giordano, non è stato mai né in Galilea, né in Giudea. È rimasto fuori della terra promessa, ai guadi del Giordano, a traghettare appunto convertiti verso Cristo, che era il vero scopo della sua missione. Nell’anno XV di Tiberio “si realizzò la parola di Dio su Giovanni nel deserto”. L’espressione appare difficile dal punto di vista grammaticale, ma è la traduzione esatta del testo greco. La parola di Dio è un evento che si realizza proprio su questo profeta abitatore del deserto (Lc 1,80), abituato al silenzio e alla contemplazione. Da questo momento la Parola lo abita. Giovanni è figlio della Parola, che lo ha costituito portatore del messaggio di conversione in vista della remissione dei peccati, che solo Gesù potrà dare come “agnello che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Ma è anche il profeta che realizza la parola di Dio annunciata prima di lui. Con Giovanni le promesse si compiono. A questa investitura profetica si riferisce la citazione biblica che è al centro del suo messaggio: “Come è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia”.
Il riferimento è ricavato dalla Bibbia greca dei LXX, che fa del deserto il luogo dell’annuncio gridato (il kérygma) e non il luogo dove si deve preparare la via al Signore che viene, come era nel testo ebraico. Luca si riferisce alla regione desertica della Perea che Giovanni percorre in lungo e in largo, senza fissa dimora; ma forse allude anche ad un annuncio inascoltato, come quello gridato in un deserto. È un rischio sempre attuale. Il testo d’Isaia fa riferimento all’editto di rimpatrio degli ebrei deportati in Babilonia al tempo di Ciro re dei Medi e dei Persiani nel 538 a.C. Il profeta descrive la lunga carovana degli esuli, guidati da Dio stesso, che attraversa il deserto siriano per tornare in Palestina a ricominciare una vita nuova. Per rendere più agevole il cammino Dio ingaggia una squadra di operai con il compito di sistemare la viabilità in un terreno sconnesso e sassoso. Così potranno procedere senza intoppi anche i carriaggi che trasportano donne, bambini e vecchi. Chiaramente il Signore, che viene a capo di questa nuova carovana di salvati, è Gesù.
È lui che Giovanni annuncia, facendogli da battistrada. Egli è capo di un popolo nuovo liberato dalla schiavitù del peccato e chiamato a percorre con lui le strade del mondo verso la patria del cielo. La citazione di Isaia consente a Giovanni di definire la sua funzione: “voce” portatrice della Parola. Sant’Agostino ha magistralmente commentato questa auto-definizione di Giovanni: egli è la voce, non la Parola che stava venendo nel mondo. La voce porta la parola fin dentro il cuore dell’uomo, poi scompare: “È necessario che egli cresca e io diminuisca”, dice. La funzione della voce si esaurisce quando la parola arriva alle orecchie delle persone. Allora rimane solo la parola. È la funzione di ogni cristiano che sente l’urgenza di annunciare Cristo al mondo. Nessuno deve predicare se stesso, ma Gesù, senza fare ombra a lui che è la sola Parola che salva.
Ancora una volta l’ellenista Luca annuncia l’universalità della salvezza aggiungendo nella citazione di Isaia il versetto finale, che gli altri sinottici non riprendono: “Ogni carne vedrà la salvezza di Dio”. La salvezza portata da Gesù non riguarda solo gli ebrei, ma anche i pagani. Luca l’ha sperimentata sulla sua pelle. A questa esperienza ecclesiale ormai acquisita, faceva riferimento anche il vecchio Simeone, prendendo in braccio il bambino Gesù portato dai suoi al tempio, quando cantava soddisfatto: “I miei occhi hanno visto la salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli” (Lc 2,30-31). È la salvezza arrivata fino a noi e che ci coinvolge in quella carovana di popolo in cammino verso casa, come prevedevano Isaia e Giovanni Battista. Sta a noi prenderne coscienza.