Spinosa questione si apre al credente quando vuol fare coincidere i propri princìpi morali con la legge civile… ma devono proprio coincidere? O si può ricorrere ad un compromesso? O non devono coincidere mai? Del resto, in diverse occasioni i Vescovi italiani hanno parlato di “libertà dei cattolici in politica”.
E più volte si è chiarito di quale libertà i cristiani dovrebbero godere in politica: si tratta della “legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune” (Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 2002, n. 3).
La Nota dottrinale chiarisce che si tratta di una libertà che non può essere in opposizione con la legge morale naturale e la fede, ma specifica anche che essa è contingente in quanto riferita ai problemi economici, sociali circoscritti ad un determinato tempo storico e ambientale. Se da una parte “la libertà politica non è, né può essere fondata sull’idea relativista che tutte le concezioni sul bene dell’uomo hanno la stessa verità e lo stesso valore”, d’altra parte essa è chiamata ad attuare un vero bene concretamente possibile in riferimento “al bene della persona e della società, in uno specifico contesto storico, geografico ed economico”.
Esigenze irrinunciabili
La Nota della Congregazione per la dottrina della fede è ancora più esplicita quando al n. 4 afferma chiaramente che vi sono dei principi morali del cattolico, i quali non possono prestarsi a nessuno tipo di compromesso: “Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona”.
Tra queste esigenze etiche fondamentali ed irrinunciabili vengono considerate in contrasto e non ammissibili a nessun compromesso morale le leggi civili in materia di aborto e di eutanasia, di difesa della vita umana dal suo inizio alla sua fine, in materia di giustizia e di bene comune, di solidarietà verso le persone più indigenti, di rispetto del principio di sussidiarietà, in materia di famiglia e di matrimonio cristiano, di difesa e costruzione della pace, infine di promozione di una economia solidale.
Al centro del documento vi è chiaramente la percezione di un’identità cattolica che differisce e si distanzia chiaramente dalle altre concezioni utilitariste e relativiste.
Visione culturale integrata
Vi è un unicum del cattolico nella sua azione politica, che si fonda su una concezione antropologica personalista molto chiara fondata sulla legge morale naturale, confermata nel “Vangelo della vita”, esplicitata all’interno della centenaria tradizione degli insegnamenti sociali della Chiesa. Tale specificità del cattolico, tuttavia non è, e non può essere concepita come un’alterità conflittuale con altre posizioni e concezioni della vita diametralmente opposte, in quanto la politica non può e non deve mai coincidere con un ordine morale religioso, in quanto sarebbe a rischio la stessa idea di autonomia delle realtà terrestri (cfr. Gaudium et spes, 36).
È proprio in questo ambito che deve essere collocato il concetto di compromesso etico in politica. Esso non può essere inteso come compromesso sulla validità dei principi morali “inderogabili” sopra elencati, ma come mediazione culturale possibile tra visioni antropologiche e confessioni di fede diverse per l’attualizzazione del bene comune della persona, concretamente possibile in vista del bene della società. Questo si realizza solo evitando ogni tipo di fondamentalismo: i cristiani non hanno la possessione assoluta della verità, ma sono sempre in cammino insieme agli altri verso la verità nella soluzione dei problemi, politici e sociali. Ma è necessario anche evitare ogni tipo di lassismo e relativismo: sminuire i propri principi e valori per favorire una forzata coesione sociale finirebbe con il creare una falsa idea di uomo e di democrazia, e contribuirebbe al rafforzamento delle lobby, che non hanno a cuore l’interesse del bene comune della società, ma il proprio mero profitto personale. Più che di compromesso morale in politica (oggi tale affermazione è rilegata dalla stragrande maggioranza degli italiani come ambigua e portatrice di inganno e non di lealtà ed onestà: basta leggere gli innumerevoli blog a riguardo per farsene un’idea), preferiamo parlare di visione culturale integrata dei cristiani, capace di quella reciprocità delle coscienze anche con i non credenti, indispensabile per la soluzione dei problemi morali politici e per l’individuazione del bene concretamente possibile.
Impegno e dialogo
Benedetto XVI più volte ha messo in luce come debba essere intesa la giusta e doverosa presenza dei cattolici in politica. Citiamo a titolo di esempio il suo discorso del 12 novembre 2005 al nuovo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede: “La missione religiosa della Chiesa non permette che essa sia identificata con un particolare sistema politico, economico, sociale; tuttavia, allo stesso tempo questa missione serve come fonte di impegno, direzione, e forza”.
Il cristiano nella sua azione politica, pur rimanendo fedele ai principi morali della fede, è consapevole che non può chiudersi al dialogo con posizioni diverse, ma nello scambio culturale è chiamato alla collaborazione per la soluzione dei problemi sociali e politici in vista del bene comune. Questo non esclude che il cristiano difenda e ribadisca i suoi principi, a volte anche con una libera obiezione di coscienza, quando il contenuto morale fondamentale del principio viene alienato o addirittura stravolto.