Mi hanno profondamente commosso le parole che Papa Francesco ha dedicato al suo predecessore nel discorso alla plenaria della Pontificia accademia delle scienze, tenuto il 27 ottobre scorso. “Benedetto XVI – ha detto – è stato un grande Papa. Grande per la forza e penetrazione della sua intelligenza, grande per il suo rilevante contributo alla teologia, grande per il suo amore nei confronti della Chiesa e degli esseri umani, grande per la sua virtù e la sua religiosità. Il suo amore per la verità non si limita alla teologia e alla filosofia, ma si apre alle scienze (…). Di lui non si potrà mai dire che lo studio e la scienza abbiano inaridito la sua persona e il suo amore nei confronti di Dio e del prossimo, ma al contrario, che la scienza, la saggezza e la preghiera hanno dilatato il suo cuore e il suo spirito”.
Queste parole danno voce ai gesti con i quali Papa Francesco, sin dall’inizio del suo pontificato, circonda di venerazione Benedetto XVI che, liberamente, si è messo in disparte restando nel “recinto di San Pietro” per “servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la santa Chiesa di Dio”. Partecipando al rito della beatificazione di Paolo VI, sono stato testimone oculare del forte abbraccio tra Francesco e Benedetto. Il Papa emerito, entrato in piazza San Pietro poco prima dell’inizio della celebrazione eucaristica, è stato salutato dal mormorio commosso della folla che, subito, si è fatto applauso dirompente.
Quando Papa Francesco è giunto sul sagrato della basilica di San Pietro, Benedetto XVI si è alzato in piedi quasi di scatto, per esprimere al Vescovo di Roma la sua “incondizionata reverenza e obbedienza”, lasciando filtrare nella luminosità dello sguardo non solo l’esultanza del cuore ma anche il riverbero di una luce che solo una vita di preghiera può produrre. Nel vedere da vicino Papa Francesco assieme a Benedetto XVI, ho osato esclamare nell’intimo del cuore: “Ecco Pietro e Paolo!”. Con la mente assorta in questo pensiero ho sollevato lo sguardo verso l’immagine, ancora velata, del nuovo Beato, appesa alla loggia centrale della basilica vaticana, e mi sono tornate alle mente sia le pagine dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium nella quale Papa Francesco fa appello al magistero montiniano, sottolineandone la portata profetica, sia il testo di un’omelia tenuta dal card. Joseph Ratzinger nella cattedrale di Monaco di Baviera qualche giorno dopo la morte di Paolo VI.
In essa egli osserva che Papa Montini “ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente: ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità”, davanti alla quale “ha termine il principio democratico, che non può costituire l’ultima istanza di fronte al peso della Tradizione”. Che la ricerca sincera della verità non si ispiri ai criteri della democrazia parlamentare, ma allo Spirito santo che è principio e anima del sensus fidei dei fedeli e del munus docendi dei pastori, lo ha ribadito con forza Papa Francesco a conclusione della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, mettendo in guardia da alcune tentazioni come l’irrigidimento ostile o, al contrario, il buonismo distruttivo. “Nessuna delle due tipologie – avverte Papa Francesco – è testimone dell’amore di Dio, perché in entrambi i casi non ci si fa carico del peccatore, ma lo si scarica.
Il rigorista lo inchioda alla freddezza della legge; il lassista invece non lo prende sul serio, e così addormenta la coscienza del peccato”. Per resistere a queste tentazioni occorre mettere davanti ai propri occhi il bene della Chiesa: la suprema lex della salus animarum.