di Daris Giancarlini
Era una ‘creatura’ dell’ex Cavaliere, il delfino forse più titolato – insieme ad Antonio Tajani – a raccoglierne l’eredità di capo politico di Forza Italia. Giovanni Toti, giornalista a Mediaset entrato in politica dopo un breve apprendistato a fianco di Silvio Berlusconi, ora è presidente (stimato dai più) della Regione Liguria.
Proprio lui, Toti, nel corso di una recente intervista in una trasmissione radiofonica, si è assunto la responsabilità di mandare politicamente in pensione Berlusconi. “Si renda conto – ha detto Toti del suo mentore – che è finita un’epoca, e cominci a pensare come lascerà il suo partito”. Un novello ‘Bruto’?
Così forse lo considerano i fan indefessi (sempre meno, a giudicare dall’esito delle recenti elezioni) del fondatore e presidente di Forza Italia. Ma Toti è, molto più semplicemente, esponente di quella nuova generazione di politici ai quali il lato per così dire ‘sentimentale’ non attrae quanto quello – realistico per alcuni, spietato per altri della forza dei numeri che rimandano al consenso. E al potere. In realtà, Toti per diventare governatore della Liguria ha usufruito del sostegno decisivo della Lega.
E da mesi, nelle sue dichiarazioni pubbliche dopo le reiterate sconfitte di Forza Italia, ha usato toni sempre meno diplomatici per sollecitare un cambio al vertice del suo (non si sa ancora per quanto) partito di appartenenza.
Ora, in vista del congresso di ottobre in cui Berlusconi vorrebbe allargare la gestione di FI a un Direttorio di sua fiducia, Toti si lancia come candidato alternativo proprio all’ex premier, in caso di primarie. Nello stesso tempo però prendono corpo voci che danno lo stesso Toti in fuga da Forza Italia, per costituire una nuova formazione che si ponga politicamente a metà tra la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia.
Questo potrebbe essere il ‘nuovo’ centrodestra italiano del post berlusconismo: con Toti a capo di un soggetto che, evitando la fagocitazione completa dell’elettorato forzista da parte della Lega, ristruttura e rilancia il patrimonio che fu di Forza Italia su basi ideali più laiche del moderatismo caratteristico della vecchia Dc, ma meno orientate verso l’approccio muscolare leghista. Tutto sta a vedere quanto ‘centro’ sia rimasto in Italia.
Più in particolare, Toti e gli altri (come Carlo Calenda a sinistra) che intendono fare riferimento a quest’area si dovrebbero domandare, prima di avviare i loro progetti, se ancora esistano in Italia, e quanti possano essere, i cosiddetti moderati.
In una società dominata dalle vie brevi e superficiali della comunicazione social, e in cui la crisi economica ha prodotto diseguaglianze e accresciuto distanze, la moderazione come approccio non soltanto alla politica ma alla vita tout court sta avendo sempre meno spazio. E sempre meno fascino. Si privilegiano le soluzioni semplici (sarebbe meglio dire: semplicistiche) per problemi che invece sono sempre più complessi.
Questo garantisce un impatto immediato sui destinatari dei messaggi, e spesso un ritorno altrettanto immediato di consenso politico. Ma poi le parole lasciano il posto ai fatti, che non sempre le seguono; e le piazze si riempiono di persone arrabbiate, che hanno perso il lavoro, che non hanno soldi per far studiare i figli, che si vedono negata una prospettiva di futuro.
Di solito, le crisi economiche le pagano le classi medie, che si impoveriscono. Scomparse le classi medie, scomparsi i moderati e i centristi? Una questione da approfondire: non soltanto per determinare il futuro di questo o quel politico, ma anche e soprattutto per capire dove sta andando l’Italia di questi anni.