La tradizionale Giornata missionaria del mese di ottobre non può non occupare la nostra attenzione, essendo la celebrazione di quell’andate! che fu l’ultima parola di Gesù nella sua esperienza terrena: parola di congedo ed invito cogente. È parola rivolta non soltanto ai Dodici, testimoni diretti oculari ed auricolari, di ciò che Lui ha detto e ha fatto, di come ha parlato del Padre, di come ha inteso e interpretato la Scrittura, ma è rivolta a tutti i discepoli che lo hanno conosciuto e seguito. È in certo modo il codicillo al suo testamento spirituale nella sera del dono della vita nell’eucarestia, attuata poi nel sangue con la passione, morte resurrezione. L’invio vale, come detto, per tutti i battezzati, i quali mostreranno d’aver compreso il grande dono della fede se si impegneranno, nell’annuncio-catechesi di Cristo del Vangelo e nella testimonianza della carità.
Non dispiaccia se spendo una parola per ricordare a tutti i credenti in Cristo, ed in particolare ai presbiteri e ai Consigli pastorali, che, pur tenendo fede all’invito di Gesù ad annunciare il Vangelo a tutte le nazioni, molte di queste nazioni sono già presenti nella nostra Italia e nella nostra Umbria tramite gli immigrati, non più come presenza occasionale ma come presenza stabile, che assomma ormai al 10-15% della popolazione indigena. Sono persone fuggite anche avventurosamente dalle loro terre di guerra, di fame, di oppressione dittatoriale, che cercano tra noi pace e lavoro, e portano con sé appartenenze linguistiche religiose culturali sociali diverse: sono gli immigrati, i “forestieri” della Bibbia. Chiedono assistenza e aiuti di ogni genere: non ci sia solo l’aiuto del pane e del lavoro, ma anche quello dell’annuncio della nostra fede!
Le missioni ormai sono anche in casa nostra! Pure per gli immigrati dobbiamo provvedere all’annuncio esplicito della fede, e non solo all’apertura dei nostri oratori e delle Caritas, come già lodevolmente si fa con grande merito anche sociale ed educativo. Pur con gli immigrati in casa, che cresceranno ancora di più mentre gli italiani stanno avviandosi verso il declino, occorre continuare il tradizionale sostegno alle missioni e ai missionari propriamente detti. La lettura del Siracide ribadisce la preferenza di Dio per i poveri, e cioè per chi non è, chi non sa, chi non può, chi non ha: oppressi, orfani, vedove, migranti. “La preghiera dell’ossequiente – dice il sapiente Siracide – arriva fino alle nubi, ma quella dell’umile penetra le nubi e giunge al trono dell’Altissimo”.
Il Dio cristiano è un Dio che ha preferenze per gli ultimi della vita e intende far giustizia e ristabilire l’equità dando soddisfazione a chi nella vita terrena non l’ha potuta avere. “Gridano i poveri – dice il Salmo – e il Signore li ascolta”. Così come, nel brano evangelico, ha ascoltato la preghiera del pubblicano, peccatore certamente perché si arricchiva a spese dei concittadini sottoposti a tributo dalle forze romane di occupazione, e tuttavia consapevole della sua indegnità, tanto da starsene in fondo al tempio ad occhi bassi, battendosi il petto e invocando il perdono. Il fariseo invece, che si considerava un praticante esemplare, non solo vanta la sua distanza abissale dal pubblicano, ma quasi chiede a Dio con presunzione un premio per la sua “buona” condotta. Fortunatamente per noi, Dio ha altri criteri di valutazione, distinguendo il borioso dall’umile, l’arrogante dal contrito di cuore. Per questo il pubblicano tornò a casa giustificato, mentre il fariseo se ne uscì dal tempio con un peccato in più. Gesù sembra quasi divertirsi a capovolgere i nostri giudizi e le nostre valutazioni umane.
Dio, proprio perché è Padre e ama tutti i suoi figli, non si fa convincere dal nostro perbenismo di facciata, ma scende nell’intimo di noi stessi, laddove nascono le nostre scelte e la responsabilità che le accompagna, e valuta tutto con il metro dell’amore che fa giustizia. In ogni caso, ci ricorda in maniera austera Paolo, Deus non irridetur, Dio non si lascia ingannare! “Ciò che si compie nella vita prepara il raccolto che il cristiano troverà alla fine dinanzi a Dio”. Tutti i missionari, sia religiosi e religiose, sia sacerdoti fidei donum, sia famiglie con figli, sia laici consacrati e non consacrati che si recano in territori di missione periodicamente o per lungo tempo, siano ricordati con gratitudine e onore in tutte le Chiese locali: ne siano conosciuti i nomi e i luoghi della loro operosità evangelica e caritativa, i loro problemi e i loro bisogni, gli aiuti da poter offrire da tutta la comunità di partenza, si preghi per loro, si diano informazioni all’intera Chiesa locale. È un dovere minimo di gratitudine, di collaborazione, di aiuto. Si sentano davvero “inviati” dalla Propria chiesa locale.