Sulla strada verso Gerusalemme in cui sta camminando, Gesù semina brevi insegnamenti che hanno come primi destinatari gli apostoli e, dietro di loro, tutti noi credenti. Oggi Marco ci fornisce due brevi lezioni che vogliono combattere l’intolleranza e lo scandalo, mali di tutti tempi nella Chiesa e nel mondo. Constatiamo spesso, in maniera dolorosa, che siamo molto severi nel giudicare gli altri, mentre siamo molto indulgenti nell’assolvere noi stessi. L’intolleranza è descritta oggi con due brani: dalla prima lettura e dal vangelo. La prima lettura ha per protagonista Giosuè, discepolo di Mosè; il vangelo ha per protagonista Giovanni discepolo di Gesù. Il brano del libro dei Numeri narra la condivisione del dono dello Spirito profetico da parte di Mosè a vantaggio dei settanta anziani che governano insieme con lui il popolo in cammino nel deserto.
Lo Spirito aveva debordato e raggiunto altri due anziani nell’accampamento, che non erano presenti alla riunione. Il fatto procurò la reazione indignata di Giosuè, che fungeva da segretario al grande condottiero. Egli chiese con forza: “Mosè, mio signore, impediscili!”. Ma Mosè, che era considerato il più mite degli uomini (Num 12,3), rispose con calma: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!” (Num 11,29). Nessuna invidia e nessuna gelosia deve inquinare il bene che vediamo compiere intorno a noi. Nel vangelo l’intolleranza è rappresentata dall’apostolo Giovanni. Non tragga in inganno il fatto che viene chiamato l’apostolo dell’amore per il suo vangelo nel quale non parla d’altro. Ne deve aver fatta di strada, se teniamo conto che Gesù aveva soprannominato lui e suo fratello Giacomo boanerghes, “figli del tuono”, cioè “fulmini” (Mc 3,17).
Il loro integralismo si era manifestato chiaramente quando chiesero a Gesù di far scendere il fuoco dal cielo sui samaritani che non avevano voluto accoglierlo (Lc 9,54s). Egli viene a dire a Gesù di aver incontrato un esorcista che scacciava i demoni in nome di Gesù e voleva impedirglielo, perché non era suo seguace. Gesù aveva risposto con tono di delicato rimprovero: “Non glielo impedite. Chi non è contro di noi è per noi”. Voleva dire che il bene non è monopolio di nessuno. Chiunque fa il bene, sotto qualunque bandiera o sigla egli militi, lo fa con Gesù e per Gesù, che sull’amore del prossimo ha impostato tutto il suo messaggio. Il seme di verità e di amore Dio lo semina dove vuole. Il cristiano non può essere integralista e settario, perché non è lui ad avere l’esclusiva della verità e dei valori. Sbattere le porte in faccia a chi non fa parte del proprio gruppo è settarismo, meschinità, moralismo bieco, che finiscono per creare un ambiente asfittico alla fede.
Nella descrizione del giudizio finale, Gesù giudice loda e premia chi ha compiuto opere di carità senza conoscerlo. A chi gli domanda quando mai lo abbia incontrato sui suoi passi, risponde che fare il bene al prossimo è farlo a lui in persona (Mt 25,39s). Questo significa impostare i rapporti umani in maniera positiva, senza vedere nemici dappertutto. È indispensabile per vivere nella nostra società pluralistica. All’intolleranza nei confronti di chi è diverso spesso corrisponde l’eccessiva indulgenza verso se stessi. L’insegnamento della seconda parte del vangelo di oggi pone il cristiano di fronte alle sue responsabilità di coerenza e d’impegno. Il giudizio di Gesù cade soprattutto sulla comunità cristiana, prima che all’esterno di essa. Lo scandalo, che nel brano è evocato ben quattro volte, è un inciampo posto sul cammino di qualcuno per farlo cadere, un specie di seduzione o di disorientamento che mina le fede di chi crede in Cristo.
Gesù usa parole di fuoco contro chi scandalizza i piccoli, che qui non sono i bambini, ma i fratelli di fede più fragili e vulnerabili, quei credenti dalla fede semplice, che non sanno di teologia e non si pongono molte domande, ma si fidano totalmente del vangelo. Lo scandalo che disorienta può nascere dalla cattiveria e dalla malvagità umana, ma anche dalla irresponsabilità. Il linguaggio di Gesù è paradossale e drastico: parla di morte per affogamento e di automutilazioni, ma lo fa in maniere figurata, per sottolineare la gravità enorme della colpa di chi disorienta e rovina un credente in lui. Allaccia così una catena di quattro detti costruiti, con chiaro linguaggio semitico, sulla legge dell’antitesi: “sarebbe meglio… anziché…”. Dice che è meglio essere affogati in mare con una macina da mulino attaccata al collo che essere immersi nel fuoco dell’inferno; dice che è meglio amputarsi la mano assassina o ladra, il piede che porta al male, cavarsi l’occhio avido e impuro, piuttosto che bruciare interi nella Geenna eterna.
La valle della Geenna posta a sud di Gerusalemme era paragonata all’inferno, perché vi si bruciavano i rifiuti immondi della città e perché era stata sede di culti idolatrici con ributtanti sacrifici umani (Ger 7,32s). Essere condannati all’inferno sarà un disperazione senza limiti, perché “il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”. Si tratta del verme della decomposizione del cadavere, che continuerà a rodere senza consumare e tormenterà per sempre. Non si può fare a meno di vedere nella sue parole i rischi della società in cui viviamo, che, con i moderni mezzi di comunicazione, produce uno sbandamento umano e cristiano pauroso in tanti credenti che perdono la fede.
Oggi vengono inculcate abitudini e convinzioni false ed effimere, ci si nutre di “gossip” cioè di pettegolezzi scandalosi, di spettacoli immorali, di guadagni facili e disonesti, di denigrazioni e di irrisioni per ciò che è religioso ed ecclesiale. Ciò finisce per creare una mentalità anticristiana, che è terreno di cultura per l’ateismo e l’indifferenza dei giovani e degli adulti. Questo è il grande scandalo denunciato da Gesù. Dio non voglia che ne siamo complici e vittime noi che ascoltiamo. Ogni papà e mamma deve tener alte le antenne per captare il pericolo e difendere i figli, che oggi sono i più esposti al contagio.