Dinanzi alle responsabilità e alle miserie di noi cristiani, risuona con forza il richiamo urgente alla conversione morale ed evangelica. L’ha ripetuto più volte il Papa, invitando a evitare sia la negazione o “l’insabbiamento” delle proprie colpe, sia – cosa ben peggiore – l’autogiustificazione, colpevolizzando altri (proiezione). Mi soffermo sulla conversione evangelica sollecitata dall’amore misericordioso di Dio. La grande Lettera ai Romani sostiene con chiarezza la seguente tesi: tutti, giudei e pagani, sono colpevoli, anche di peccati gravissimi; solo Cristo – mediante la fede – salva gli uni e gli altri. Con un’espressione teologica ardita san Paolo scrive: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti” (Rm 11,32). Il peccato “abita in noi ” e pecchiamo, anche non volendo. Siamo deboli, ambivalenti e inquinati dal male fin dal seno materno, capaci di santità e delle peggiori cose. La conversione cristiana mai perfettamente compiuta (i santi erano ben consapevoli di morire come peccatori graziati), comincia col riconoscere in modo sorpreso e grato che Dio Padre per mezzo del Figlio suo Gesù crocifisso e risorto, nell’azione congiunta dello Spirito e della Chiesa, offre ad ogni uomo gratis la reale possibilità del perdono e della santità. Per cui il peccato può diventare, paradossalmente, una preziosa opportunità per ricevere ancor più la misericordia di Dio, così come ci raccontano le parabole di Gesù e ci attesta il suo essere amico di pubblicani e peccatori. I quali si convertono proprio grazie all’esperienza non di giudizio né di condanna, ma di amicizia accogliente, proprio quando tutti li segnavano a dito e si aspettavano dal grande Maestro una condanna ancor più pesante. Ed ancor più paradossalmente: proprio coloro che si ritenevano giusti si autoescludevano dalla festa del perdono, necessario anche per loro. A loro, ai farisei di ieri e di oggi che continuano a scandalizzarsi e a condannare, Gesù rivolge parole sorprendenti: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). “Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei (l’adultera)” (Gv 8,7). Beninteso: senza togliere una iota alla Legge! Anzi con un giudizio morale di insuperabile livello come quello del discorso della montagna, preceduto da un nota bene: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,20). Ed ancora: “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20). Per i farisei e per i pubblicani, ossia per tutti, vale la parola di Paolo: “Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?” (Rm 2,3-4). Guai a prendersi gioco della misericordia di Dio, che spinge alla conversione sia coloro che si credono a posto (e non per questo sono senza peccato), sia coloro che avvertono il peccato in modo così grave da disperare. Santa Veronica, che proprio oggi festeggiamo a Città di Castello come nostra patrona, e che a partire dal prossimo 27 dicembre ricorderemo con particolari celebrazioni nel 350° della nascita, scriveva: “O mio Dio d’amore ardente, tu che sei così potente, tira a te questo cuor mio e distruggi in me quest’io”.
“Tira a te questo cuor mio”
parola di vescovo
AUTORE:
† Domenico Cancian f.a.m.