La sua è la storia di un ragazzo, poi diventato vescovo cattolico, nato in una famiglia musulmana e con il padre che svolgeva la funzione di imam, cioè guida della preghiera. È venuta spontanea la domanda: come è stato possibile e quale storia c’è dietro a questa sua vocazione. Così ha risposto mons. Thomas Msusa, vescovo di Zomba, a 42 anni il più giovane del Malawi. “Sono nato nel villaggio Iba, a Namwera, in cui il 99 per cento della popolazione è musulmana. Ma dall’ambiente da cui provengo oggi ci sono 5 mila famiglie che si sono convertite dall’Islam al cristianesimo. Questo è avvenuto grazie al modo in cui i cristiani si sono rivolti ai musulmani. Vi erano, e vi sono, molti ragazzi orfani, come me, e il parroco che si è preso cura di noi non ci ha solo educato e dato una formazione culturale, ma ci ha aiutato e mostrato un volto piacevole del cristianesimo. Non ci ha ‘conquistato’, ma attratto dal modo con cui si è rivolto a noi”. Diventare cristiano. È stato facile decidere? “No, e la scelta non è stata accettata di buongrado dalla mia famiglia tutta musulmana che ha visto questa conversione come un’offesa alla nostra tradizione perché sono convinti che la nostra tribù è nata musulmana e tale finirà. Vi sono state tensioni nel villaggio e nella famiglia, che non è composta solo da padre e madre, ma da molti parenti, come sempre in Africa, facenti parte della ‘famiglia allargata’, di tipo patriarcale, e quindi molto numerosa”. Come è stato possibile che in un paese africano abbia avuto successo la religione islamica che è riuscita a radicarsi così profondamente nell’anima africana, tanto da far dimenticare i riti e le preghiere tipici della tradizione animistica dei popoli di quel continente? “Bisogna sapere che la zona da dove provengo, è stata battuta molto dagli arabi. Prima ancora che giungessero i cristiani svolgevano il commercio dell’avorio e il commercio degli schiavi. Nel 1800 la zona di Mangoshi era il centro dove convergevano gli schiavi per essere smistati e inoltrati verso la costa dell’Oceano. Gli arabi portavano non solo il commercio, ma anche la religione e da ciò si è sviluppata l’islamizzazione del paese. La mia tribù, gli Yao, ha subito più delle altre perché si trovava al centro di questo commercio. Gli arabi inoltre hanno avuto successo nella islamizzazione del popolo perché non hanno rigettato e scartato nulla delle tradizioni religiose e culturali proprie della nostra tribù. Hanno adattato l’islamismo alla situazione preesistente secondo un processo di inculturazione. I cristiani sono arrivati più tardi, a fine secolo, e hanno portato regole nuove da rispettare, si pensi solo alla poligamia presente nella tradizione tribale, consentita dai musulmani e proibita dai cristiani. Ciò rende più difficile aderire al cristianesimo”. Quale è la situazione attuale, continua il successo dell’islam nel suo paese e in genere in Africa? “Il precedente Governo del Malawi ha fatto di tutto in questi tempi per islamizzare il paese, con l’aiuto dell’Arabia Saudita e la Libia, concedendo ai giovani borse di studio all’estero (in quei paesi) per farli diventare, una volta ritornati, leader islamici del Malawi. Il nuovo presidente sembra che abbia cambiato politica. Ma resta, ed è un grande pericolo, il fatto di favorisce l’adesione all’islam per ragioni economiche”. Non facevano così anche i missionari? “Questo noi cattolici oggi non lo facciamo, anche se in passato abbiamo agito in maniera analoga. Abbiamo la netta convinzione che la fede non si compra, deve essere una scelta libera. La Chiesa cattolica ha fatto molta promozione umana. Il cinquanta per cento delle scuole in Malawi sono fatte dai cattolici, e questo va bene, ma non è sufficiente per l’evangelizzazione, ci vuole sia la promozione umana che l’evangelizzazione”. Il nostro aiuto da Perugia deve essere inteso come un aiuto missionario per la diffusione del vangelo oppure come un contributo alla promozione umana verso un paese molto povero? “Noi aiutiamo tutti, cristiani e musulmani, per un dovere di solidarietà e di carità e non chiediamo di diventare cattolici a quelli che ricevono i nostri aiuti. Pensiamo che dal modo come noi ci comportiamo possano vedere e capire il senso del nostro impegno e possibilmente, con la grazia di Dio, diventare cristiani”. Il Vescovo conclude augurandosi che le due diocesi di Perugia e di Zomba possano conoscersi meglio e sviluppare una collaborazione sempre più intensa. Avremmo voluto fare molte altre domande, ma mons. Msusa ha promesso di tornare per un mese intero per imparare la nostra lingua e così poter comunicare in modo più spedito per sviluppare un’amicizia più profonda.
Thomas, il vescovo figlio dell’imam
Il Vescovo di Zomba (Malawi) racconta a "La Voce" la sua storia e la speranza per la sua Chiesa
AUTORE:
Elio Bromuri