Sono rimasto profondamente colpito dalle parole con cui il Santo Padre ha voluto inaugurare il suo pontificato, facendo riferimento alla tenerezza come custodia del creato, custodia dell’altro, specialmente dell’ultimo e del più povero, custodia di sé e dei propri sentimenti, custodia del progetto di Dio sul mondo; tenerezza come prendersi cura di quanto ci circonda e di farlo con amabilità.
“Non dobbiamo avere paura della bontà, della tenerezza”, ha ripetuto due volte il Papa. Una tenerezza che non costituisce solo un’emozione più o meno passeggera, ma il cuore di una nuova cultura, la cultura della responsabilità e della convivialità, in opposizione a ogni anti-cultura della distruzione e dell’individualismo. Risiede in questo orizzonte il centro di tutto il discorso di Papa Francesco. La tenerezza è la forza più umile; eppure è la più potente per cambiare il mondo.
La tenerezza, ha notato testualmente il Santo Padre “non è la virtù del debole; anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amare”. La preoccupazione è perfettamente giustificata. Come ebbi modo di spiegare in un testo sulla Teologia della tenerezza pubblicato nel 2000, quando ci si riferisce al sentimento della “tenerezza” si deve evitare il rischio di confonderlo con il “sentimentalismo”, la “tenerezza” con il “tenerume”. La tenerezza è forza, segno di maturità e vigoria interiore, e sboccia solo in un cuore libero, capace di offrire e ricevere amore.
Il Santo Padre è stato molto attento a evitare questo rischio, assumendo il termine “tenerezza” nella sua effettiva accezione, come capacità di relazione forte e amorevolezza che trasforma il potere in custodia e servizio. Questo sentimento suppone infatti la capacità di partecipare, corpo e anima, alla celebrazione delle innumerevoli sinfonie del mondo, alle sue gioie e ai suoi dolori, vivendo con l’alterità relazioni cordiali (cor/cordis, cuore), di scambio, di reciprocità e di bellezza. Non è pensabile che un uomo o una donna, in qualunque condizione di vita si trovino, matrimoniale o consacrata, di giovani o anziani, soli o in comunità, possano essere persone mature senza un’attivazione effettiva di questo sentimento; è certo, in ogni caso, che saranno persone profondamente sole e infelici.
Fra tutti i sentimenti che l’uomo ha sviluppato durante la sua storia, notava E. Fromm fin dagli anni ’80, non ne esiste uno che superi la tenerezza come qualità tipicamente umana e umanizzante. E di fatto, una persona non può dirsi realizzata se non si sforza di acquisire questo sentimento che la rende “affettuosa”, “compartecipe”, “colma di rispetto” e di meraviglia di fronte alla perfezione del cosmo e ad ogni forma di vita, da quella di un bambino a quella di un fiore o di una farfalla, capace di apprezzamento e di giusta tolleranza verso se stessa, l’altro/a e gli altri.
Il Santo Padre ha fatto un grande regalo alla Chiesa e al mondo richiamando questo sentimento come esigenza forte per questo tempo. La tenerezza rappresenta il cuore della carità: scaturisce dalla croce di Cristo e rimanda alla Chiesa come comunità della tenerezza di Dio nella storia.
L’affermazione di Dostoevskij (“La bellezza salverà il mondo”) può essere tranquillamente parafrasata con la formula: “La tenerezza salverà il mondo”. Formula cui fanno eco le parole di K. Gibran: “La bellezza è la vita quando la vita rivela il suo profilo benedetto”. Bellezza, tenerezza, vita esprimono in effetti un medesimo dinamismo affettivo verso tutte le realtà che ci circondano, “l’infinitamente grande” e “l’infinitamente piccolo”, come direbbe B. Pascal, a cominciare dalle più umili realtà del creato fino alla preziosità unica della persona umana, vertice della scala degli esseri e del cosmo. Liberando l’io dalle sue pretese assolute e ricollocandolo nel suo dialogo con il Creatore, la tenerezza lo rende capace di affetto, di gratuità e di meraviglia.
Sarà capace il nuovo millennio di orientarsi verso questa direzione? Tale è l’immane sfida etica che ci attende come credenti e come cittadini, come Chiesa e come “villaggio globale”. Un’etica che diventi estetica, orientando a riscoprire lo stupore dell’essere e a lodare incessantemente Colui che ci dona incessantemente a noi stessi, offrendoci il mondo come dimora da “coltivare” e “custodire” (Gen 2,15), e non da abbandonare o distruggere.
Il centro familiare Casa della Tenerezza di Perugia, che proprio in questi giorni ha celebrato i dieci anni dalla sua nascita ufficiale, non può che esultare e benedire per il dono di questo Papa e per quanto egli ci ha donato e ci donerà con la sua persona e la sua parola. Fin dalla sua approvazione ad opera di mons. Chiaretti e alla sua approvazione definitiva da parte di mons. Bassetti, il Centro ha scelto il carisma della tenerezza come tipico della sua specificità e del suo servizio nella Chiesa locale e universale.
Tre vescovi umbri a Roma
Martedì 19 marzo in piazza San Pietro, alla celebrazione eucaristica di inizio del pontificato di Papa Francesco, c’erano anche tre vescovi umbri, gli arcivescovi di Perugia, mons. Gualtiero Bassetti, e di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, rispettivamente presidente e vice presidente della Conferenza episcopale umbra, e il vescovo di Orvieto-Todi, mons. Benedetto Tuzia. Mons. Bassetti ha preso parte alla celebrazione in qualità di vice presidente della Cei (in questi giorni si teneva la sessione primaverile del Consiglio permanente) ma voleva esserci soprattutto come “ambasciatore” della sua diocesi che nel prossimo settembre rivivrà l’esperienza del pellegrinaggio diocesano alla tomba di Pietro, programmato quale “segno” dell’Anno della fede. Mons. Bassetti è stato colpito dal “clima di semplicità di questa liturgia, nonostante la solennità dell’evento mondiale”, ed ha sottolineato la presenza dei francescani de La Verna, che lui ben conosce da quando era vescovo di Arezzo. Dell’omelia di papa Francesco mons. Bassetti ha sottolineato l’invito a “custodire i propri fratelli con affetto e tenerezza”. “La parola ‘tenerezza’ – ha evidenziato l’arcivescovo – è stata pronunciata una decina di volte da Papa Francesco, segno che all’interno della Chiesa i rapporti devono cambiare. La tenerezza è il clima che si vive nel fidanzamento, all’interno della famiglia: la Chiesa deve assumere un atteggiamento più familiare”. Dell’omelia, tutta da ricordare, mons. Bassetti ha sottolineato anche il tema dell’autorità nel governo della Chiesa. Il Papa, ha detto, “ha parlato di ‘potere’, ma quale potere? Quello consegnato da Gesù a Pietro: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle con la forza dell’amore e della tenerezza”.