Nei passi stanchi e trascinati del vecchio Pontefice che scala il colle dell’Areopago in Atene si è resa visibile, in tutta la sua drammaticità, la fatica della ricomposizione dell’unità dei cristiani. Per rompere un vaso artisticamente elaborato in tutte le sue parti basta uno sconsiderato atto di indignazione e di sdegno. All’inizio del secondo millennio è scoccata la scintilla che ha rotto anche formalmente la comunione tra le due Chiese, quella latina e quella greca, che si erano talmente diversificate nel loro processo evolutivo da non riconoscersi come sorelle. Ci si è separati per molteplici ragioni. Vi sono state azioni compiute talvolta con leggerezza e superficialità, non considerando le nefaste conseguenze negative e si è andati avanti da parte di uomini di Chiesa con sordità nei confronti delle ragioni dell’altro, per sete di potere, per rivendicare la giurisdizione su un territorio e soprattutto per aver messo in disparte la centralità del messaggio evangelico rispetto ad altri veri o presunti valori umani, “non senza colpa di uomini di entrambe le parti” (U.R.3). Si è così rimasti irretiti in un groviglio di situazioni e di circostanze senza trovare una via d’uscita, anzi aggravando la divisione con la famigerata quarta crociata dirottata su Costantinopoli (1202-1204) e con la delusione della mancata riconciliazione pur approvata da entrambe le parti ed esaltata con enfasi nel Concilio di Firenze (1439). Per raccogliere e ricomporre i vari pezzi scheggiati non basta, purtroppo, un atto, né una dichiarazione, né un decreto, né una preghiera di intercessione, neppure ripetendo quella di Gesù, “che siano una cosa sola”. Si rende necessario un processo di rilettura della storia, un cammino di conversione del cuore e di riforma della vita delle proprie comunità: un cammino che passa attraverso la porta stretta della croce. L’ecumenismo è un esodo, un rinnegare se stessi, un richiesta di perdono, assumendo atteggiamenti e pronunziando parole di umiltà e di misericordia, sempre da entrambe le parti. Giovanni Paolo II sta camminando in questa direzione e vuol trascinare nel solco dei suoi passi la sua Chiesa e le Chiese sorelle dell’ortodossia, in questo caso delle Chiesa autonoma di Grecia, la terza comunità ortodossa per importanza e per numero di fedeli. Egli compie questi gesti continuando l’itinerario del pellegrinaggio giubilare e ripercorrendo l’itinerario della storia della salvezza, in particolare i viaggi dell’Apostolo delle genti. La fatica non è senza frutto e nell’amarezza di un’esperienza, come quella dell’arrivo ad Atene, dove hanno risuonato i rintocchi mesti delle campane, non sono mancati bagliori di gioia e di speranza. Sono state pronunciate parole univoche di fede con toni di sincerità e di volontà di comunicazione. Sembrava di percepire il rumore di una storia che riprende a muoversi verso il futuro, discostandosi dai ceppi di una memoria dolorosa che la tenevano imprigionata. Ancora una parte della Chiesa greca, si sente incompresa e si tiene debitamente a distanza sospettando inganni, astuzie e raggiri. Ma ormai nessuno può più dubitare che la ricomposizione dell’unità visibile delle Chiese sia volontà di Dio e non nasconda alcun segreto interesse particolare. Mai come nel nostro tempo si è levata la voce di pastori, teologi, assemblee cristiane, giovani, per invocare la riconciliazione. In ultimo a Graz dove il titolo era proprio “la riconciliazione dono di Dio e fonte di vita nuova”. A spingere verso la ricomposizione visibile dell’unità dei cristiani non è, pertanto, solo il Papa e i suoi immediati predecessori, ma gli stessi ortodossi, che già nel 1920, con un'”Enciclica sinodica della Chiesa di Costantinopoli a tutte le Chiese di Cristo”, fecero un appello perché rinasca “l’amore tra le Chiese” e si sono inseriti nel Movimento ecumenico. L’ecumenismo non è nato cattolico e non è un’invenzione del Vaticano, ma è ciò che lo Spirito dice alle Chiese in modo chiaro ed evidente nel nostro tempo. Il patriarca ortodosso Atenagoras lo comprese negli anni sessanta e fu protagonista con Paolo VI quando entrambi sottoscrissero (1965) la dichiarazione di abolizione delle vicendevoli scomuniche dell’anno 1054, affidate alla storia con il famoso “Tomos Agapis” (il libro dell’amore). Un passo in avanti è stato compiuto anche in questo viaggio papale, con un clima di accoglienza e di scambio di gesti amichevoli che ha consentito un momento di grande fraternità, quando, al termine della giornata dell’incontro, il Papa di Roma e l’Arcivescovo ortodosso di Atene, lontani dagli sguardi curiosi hanno recitato insieme la preghiera del Padre nostro. E’ dalla preghiera che si può sperare la guarigione delle ferite del passato e ritrovare la pace: “Rimetti a noi i nostri debiti, come…”. Sull’Areopago Paolo, all’inizio del primo millennio dell’era cristiana si confrontò con la cultura greca del suo tempo ed annunciò il “dio ignoto”, sul nuovo Areopago di oggi, che sono i teleschermi delle televisioni, abbiamo potuto scorgere come possibile un disegno divino per il futuro: “L’unico popolo di Dio… segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.
Sull’Areopago la speranza per una Chiesa riconciliata
Il pellegrinaggio del Papa sulle orme di San Paolo in Grecia, Siria e Malta
AUTORE:
Elio Bromuri