Quando questo numero de La Voce andrà in stampa, saranno già in corso di svolgimento le manifestazioni promosse dal Comune di Perugia per celebrare il 150° anniversario della liberazione di Perugia (14 settembre 1860) e della proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861). Le celebrazioniIl programma prevede, per il corrente mese di settembre, sfilate di reparti dell’esercito in uniformi storiche, concerti di bande militari, deposizione di corone di fiori e scoprimento di lapidi commemorative, oltre che presentazione di libri. Non manca neppure una messa, che sarà celebrata domani pomeriggio sul sagrato di Monteluce dal cappellano militare dell’Arma dei carabinieri insieme al parroco della chiesa di S. Maria Assunta mons. Luciano Tinarelli. Intanto, da parte sua, la Deputazione di storia patria per l’Umbria, nell’assemblea generale dei soci svoltasi a villa Monticelli sabato 11 settembre, ha illustrato il suo progetto di celebrazione della ricorrenza (messo a punto d’intesa con l’Isuc, la Soprintendenza archivistica e gli Archivi di Stato di Perugia e di Terni) consistente nella pubblicazione di un’opera in più volumi intitolata L’Umbria nella nuova Italia. Materiali di storia a centocinquanta anni dall’Unità. L’intenzione è quella di presentare una rassegna di fonti bibliografiche e archivistiche concernenti il Risorgimento nazionale, e umbro in particolare, facendo parlare direttamente i documenti dell’epoca, senza intenti apologetici o tentativi di strumentalizzazione ideologica o politica. L’Unità, un bene comuneÈ certamente legittimo e opportuno ricordare – soprattutto a beneficio delle nuove generazioni – gli avvenimenti di 150 anni fa, dal momento che l’Unità d’Italia allora conseguita è da considerarsi un importante bene comune, che deve essere difeso da parte di tutti, cattolici compresi. Si veda a tale proposito l’editoriale pubblicato dall’autorevole rivista dei Gesuiti Civiltà cattolica sotto il titolo L’Unità d’Italia: una storia da difendere (fascicolo del 5 giugno 2010, pp. 423-429). Se tuttavia sulla bontà del traguardo raggiunto si registra una sostanziale ed encomiabile concordia di opinioni, non si può negare che sul “come”, cioè sul modo in cui fu realizzata la nostra unità nazionale, sussistano diversi dubbi e perplessità. Alcuni criticano il Risorgimento, giudicandolo una rivoluzione fallita o incompiuta sul piano sociale, sul piano dei rapporti di classe, un’operazione gattopardesca perché tutto rimanga come prima, ed essenzialmente il frutto di trame diplomatiche e del lavorio di società segrete sotto l’astuta regia di Cavour, in ogni caso un’operazione di élite intellettuali senza reale coinvolgimento delle masse popolari. Altri invece tendono a minimizzare quanto accadde un secolo e mezzo fa, sostenendo che in fondo non successe niente di grave e di traumatico. Posizione questa inaccettabile, poiché gli eventi del 1860 costituirono in realtà uno iato, uno strappo lacerante, una svolta epocale per l’Umbria e per l’Italia, non solo sul piano giuridico, politico e istituzionale, ma anche sul piano economico, sociale e religioso. Invasione “pretestuosa” Dal punto di vista delle relazioni internazionali, ad esempio, non si può negare che l’invasione delle Marche e dell’Umbria, appartenenti allo Stato pontificio (uno stato indipendente e sovrano, esistente da più di mille anni) da parte delle truppe piemontesi, senza una previa dichiarazione di guerra, e con il pretesto di andare a restaurare l’ordine e la sicurezza dei cittadini là dove fossero state represse con la forza delle insurrezioni locali [intervento “umanitario”, come recentemente in Bosnia?], costituisca una grave violazione del diritto internazionale. E che dire della soppressione dei conventi e degli Ordini religiosi (come già era avvenuto in epoca napoleonica), con conseguente incameramento dei beni ecclesiastici (non solo edifici e terreni, ma anche beni culturali, come opere d’arte, biblioteche ed archivi)? Si pensi ad esempio alle preziose serie dei registri degli archivi parrocchiali che furono confiscati perché dovevano servire di base alla costituzione delle anagrafi dei Comuni. Tutto questo dovette avere un forte impatto sulla gente e provocò indubbiamente un grave sconvolgimento economico e sociale, investendo usi, tradizioni, costumi, abitudini religiose e relazioni umane consolidate (anche a causa del cambiamento della legislazione, delle unità di misura, delle monete, dei francobolli). È dunque giusto ricordare, ma occorre anche riflettere, per giungere ad una esatta comprensione degli avvenimenti che la storia ci pone davanti.