Stretta tra il Comune e la Regione

Panoramica sugli sviluppi dell’ente Provincia nella storia del nostro Paese

La storia dei Comuni e delle Provincie, in Italia, è totalmente diversa, e questa diversità segna ancora il rapporto che questi enti hanno con la popolazione. I Comuni sono nati nel Medioevo, dal basso, quando il popolo delle città e dei borghi ha creato i suoi organismi rappresentativi autonomi in contrapposizione al potere dei feudatari che stavano nei castelli. Le vicende dei Comuni attraverso i secoli sono state travagliatissime ma non si è mai spezzato il filo della continuità, e grazie ad esso la popolazione ha sempre visto gli amministratori comunali come i suoi rappresentanti e difensori nei confronti del potere centrale, dello Stato. C’è un legame di appartenenza e di identificazione. Il cittadino può anche considerare una sciagura che la poltrona sia toccata a quella persona lì, ma riconosce nella figura del sindaco il capo morale della comunità, non solo l’amministratore del condominio. Non è così della Provincia. Storicamente la Provincia non nasce dal basso ma dall’alto. In Italia nasce con la creazione dello Stato unitario (1860) ma solo come ripartizione territoriale degli uffici statali: confini tracciati a tavolino sulle carte geografiche. La provincia è il territorio affidato a un prefetto e agli altri funzionari del Governo (il questore, l’intendente di finanza, il provveditore agli studi, il soprintendente alle belle arti). Nella Provincia, almeno all’origine, non si rispecchia una comunità; non ci sono legami fra l’una e l’altra delle città che vi sono incluse, non c’è nessun senso di appartenenza e di identificazione. C’è solo un rapporto burocratico. E non c’è nessuna autonomia. Verso la fine dell’Ottocento le cose cominciano a cambiare. Accanto al prefetto (che rimane l’inviato del Governo centrale e il titolare di tutti i poteri più importanti) viene istituito un organismo in qualche modo rappresentativo. La nuova entità un po’ per volta si stacca dalla prefettura (pur abitando sempre sotto lo stesso tetto), diventa un ente autonomo strutturato come una specie di super-Comune. È nato l’ente Provincia come lo conosciamo: ha il suo Consiglio elettivo, la sua Giunta, il suo presidente, un po’ di impiegati, una manciata di competenze nei servizi pubblici (strade, scuole, ospedali). Queste competenze però sono poche e slegate fra loro; non bastano a dare all’ente provincia una fisionomia e una rappresentatività. Le cose si complicano quando sulla scena compare la Regione (1970). La Regione è un centro di potere enorme, e in quarant’anni non ha fatto che crescere. Parallelamente crescono anche i poteri dei Comuni; chi ci perde, nettamente, è lo Stato. La Provincia, schiacciata fra la Regione e i Comuni, rimane sempre più in ombra e molti parlano di sopprimerla. Però continua a vivere; anzi paradossalmente della crescita della Regione beneficia pure lei perché la Regione le delega una parte dei suoi poteri. Quindi chi dice, oggi, che la Provincia non conta nulla e non serve a nulla, non dice il vero. Ma è vero che se le sue competenze venissero ridistribuite fra la Regione e i Comuni nessuno si accorgerebbe della differenza. Si risparmierebbe qualcosa in termini di soldi? Sì, ma meno di quello che si crede: gli uffici e i servizi resterebbero e così pure gli impiegati, cambiando solo la carta intestata. Sparirebbero un po’ di poltrone politiche, ma qualcuno ne inventerebbe subito delle altre: il modo non manca mai.

AUTORE: Pier Giorgio Lignani