Sullo statuto regionale il Governo Berlusconi ha fatto il bis. Non di sua iniziativa, ma dando seguito all’esposto presentato il 28 aprile scorso dal Comitato referendario regionale che ha chiesto di sollevare nuovamente questione di legittimità costituzionale davanti alla suprema Corte per violazione degli art. 123 e 127 della Costituzione. L’esposto, questa volta, non riguarda l’impianto e i contenuti del nuovo Statuto. Riguarda le scelte procedurali adottate dalla Presidente della Giunta regionale per la promulgazione dello Statuto, ritenute antidemocratiche e illegittime. A tale riguardo ci appaiono strumentali certe dichiarazioni circa ‘l’accanimento politico’ del Governo nazionale nei confronti della Regione dell’Umbria e il parallelismo fatto con la situazione dell’Emilia Romagna. In tale regione non si è percorso un iter di promulgazione così contorto e contraddittorio com’è avvenuto in Umbria. La verifica di legittimità costituzionale riguarda queste scelte procedurali e non altro. Non resta ora che attendere la sentenza della Corte costituzionale. Comunque vadano le cose (l’esposto viene accolto e si ricomincia daccapo oppure viene respinto e lo Statuto promulgato resta in vigore) un risultato positivo verrà raggiunto: ogni dubbio di costituzionalità viene sciolto e si potrà in ogni caso rimettere mano allo Statuto regionale perché diventi finalmente la Carta di tutta la comunità regionale. Infatti, al di là degli aspetti di legittimità costituzionale, su cui è importante che la Corte pronunci una parola definitiva, rimane il problema ‘politico’ della sostanza delle cose. È chiamata in causa la responsabilità politica della Presidente della Giunta regionale, della Giunta stessa e dell’intero Consiglio regionale. È loro compito interrogarsi su come recuperare una situazione compromessa sul piano della democrazia compiuta e dell’impianto statutario non condiviso da componenti importanti della Comunità regionale. Il bilancio è obiettivamente debole. Lo Statuto regionale promulgato è a mala pena lo statuto della massima Assemblea regionale. È stato approvato, infatti, con voto favorevole di soli 15 consiglieri su 30 (maggioranza semplice quindi e non qualificata come previsto dall’art. 123 della Costituzione). Contro questo Statuto si è attivato un Comitato referendario costituito da esponenti della sinistra umbra. È comunque una sconfitta della democrazia il fatto che questo Comitato, con vari stratagemmi procedurali, non sia stato messo in grado di raccogliere le firme per il referendum. Chi come noi, indipendentemente dalle proprie opzioni, è animato da forte sensibilità democratica, non può che rammaricarsi e lanciare un segnale di allarme. Questo Statuto, inoltre, non piace al mondo cattolico umbro (i vescovi, la Consulta regionale Giustizia e Pace, le tante associazioni laicali ecclesiali e di ispirazione cristiana). Anche i sindacati e gli imprenditori hanno sollevato critiche e rilievi. Allora è legittimo chiedersi: ma questo Statuto di chi è? Questa domanda la rivolgiamo in prima persona alla Presidente della Giunta regionale Maria Rita Lorenzetti che ha confermato ancora una volta che ‘nel corso di questa legislatura verranno apportate le modifiche allo Statuto sulle questioni relative al lavoro, al ruolo delle imprese e su quelle poste dal mondo cattolico’. Ci teniamo a far presente che lo Statuto non è una delle questioni che dovranno essere affrontate dal nuovo Consiglio regionale, ma è ‘la questione’, prioritaria e non rinviabile nel tempo, da riprendere non per apportare qualche aggiustamento, ma con l’obiettivo di ricostruire intorno allo Statuto il consenso forte di tutta la Comunità regionale.
Statuto: ma di chi è
Lo Statuto regionale sotto verifica di legittimità per scelte procedurali. Non resta che attendere la sentenza della Corte costituzionale. Rimarrà comunque il problema 'politico' della sostanza
AUTORE:
Pasquale Caracciolo