Inizia. La Lettera del Papa ai giovani e la consegna del Documento preparatorio, in vista del prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani, apre un tempo di lavoro e riflessione particolari. Chissà per quali ragioni è questo il tema offerto alla riflessione delle Conferenze episcopali; ma francamente non ci interessa. Lo dico soltanto perché bisogna riconoscere che sono molte le attenzioni possibili sulle quali si potevano accendere i riflettori, alcune forse più drammatiche e urgenti del mondo giovanile.
Ma per chi lavora con i giovani, questa è una grande occasione che probabilmente non tornerà più: perderla sarebbe come sprecare l’opportunità di crescere nel lavoro pastorale; e sarebbe imperdonabile.
Molte sono le fatiche che accompagnano il lavoro educativo: non essendo un lavoro di produzione “a catena”, la cura e l’accompagnamento dei processi di crescita sono sempre da riprendere da capo con la sensazione (talvolta) di essere sempre al punto di partenza. C’è però un’intelligenza della fede che si fida delle persone e della possibilità che Dio parli al loro cuore: difficili – oggi – i sogni notturni; la profezia attraversa le intimità dell’uomo solo attraverso gesti di testimonianza autentica.
Per questo i cristiani non si arrendono alle logiche spietate e inarrestabili della cultura contemporanea. Con la quale accettano di fare i conti, ma nello stesso tempo non rinunciano a esercitare la critica che il Vangelo impone: quella di non accettare nulla meno che fraterno e solidale; meno del rifiuto a giocare la vita su ciò che è suadente all’apparenza, ma in realtà è effimero e inutile al sogno di eternità che accompagna ogni esistenza umana
“La vita è il compimento di un sogno di giovinezza”: lo diceva Giovanni XXIII. È con questo spirito che ci mettiamo in cammino, grati a Papa Francesco che ci offre l’opportunità di una riflessione seria, capace di volgere uno sguardo benevolo sui giovani figli di questo tempo e insieme indagare sulle nostre pratiche pastorali.
Qualcuno mi ha chiesto, in questi giorni: cosa ti aspetti che succeda? Non ho sfere di cristallo in cui guardare, ma mi piacerebbe che senza inutili autoflagellazioni, fossimo capaci di accettare un cammino di discernimento anzitutto su come stiamo accanto e accompagniamo il mondo giovanile. Dal quale giunge più di un richiamo: oggi i giovani rischiano di essere un gruppo di “ospiti” in mezzo a degli adulti che non pensano di doversi un giorno spostare, di dover avviare una operazione di “consegna” del mondo e della storia a chi verrà (fra poco) dopo di loro. In passato ci sono state situazioni forse più difficili di questa: penso al dopoguerra (ovviamente in Italia). Ma la differenza sta nel fatto che allora c’era un mondo di adulti che aveva una “missione”: far sì che i propri figli non provassero certi drammi.
Credo che se perdiamo il desiderio di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo ricevuto, abbiamo perso una buona dose di umanità e rischiamo parole e gesti sempre più brutali. Se dobbiamo pensarla proprio in grande, questo mette in gioco il modello di sviluppo che abbiamo in testa; nell’immediato si traduce in quello che stiamo trasmettendo ai giovani.
Il Sinodo parlerà della fede: ma il titolo non dice di chi. Se siamo pigri, diremo subito della “loro” fatica; se saremo onesti diremo – prima – della “nostra”.
Nel gioco della consegna e della trasmissione della fede, si inserisce la possibilità di discernimento vocazionale che nessuno può fare da solo: ciascuno di noi è diventato quello che è, perché è stato accompagnato da molti altri; quelli che ricordiamo più volentieri e hanno inciso sulle nostre scelte sono stati coloro che si sono spesi nel nome di Gesù: sapremo fare altrettanto? Ci mettiamo in cammino, perché lo stile sinodale ci aiuti a trovare le risposte di cui abbiamo bisogno.