Silenzio dei vescovi o parole inascoltate?

E’ vero che i Vescovi sono senza voce? A sentire Franco Monaco (Jesus dell’ottobre del 2003) e a sentire Padre Sorge sembrerebbe proprio di sì. Secondo quest’ultimo addirittura sembra che non parlino più dai lontani inizi degli anni 90 (cfr Aggiornamenti sociali n. 3 del 2004). Incuriosito da affermazioni tanto perentorie quanto autorevoli sono voluto andare a girovagare sul sito della Conferenza episcopale italiana (www. Chiesacattolica.it) e con una certa sorpresa mi sono accorto che le cose possono essere viste diversamente. Ho potuto contare nei soli documenti ufficiali della conferenza, a partire dal 2003, almeno 20 interventi che entrano in merito alle questioni italiane più scottanti e in tutti c’è un forte richiamo morale. Nei comunicati finali delle assemblee generali c’è sempre una parte riservata alla situazione italiana dove viene fatta una lettura puntuale delle emergenze. Cito solo il Comunicato della sessione del Consiglio episcopale permanente del 22/25 settembre 2003. Vi si parla di riforme istituzionali, di unità della nazione, della conflittualità tra alcuni poteri istituzionali, come Governo e Magistratura, del dissesto finanziario, del valore dell’etica, dello sviluppo economico, del sistema pensionistico, il crescente impoverimento di ampie fasce della popolazione, dello stato sociale, del persistente problema della disoccupazione nel meridione, del terrorismo politico, della procreazione medicalmente assistita. Il problema mi sembra allora diverso: come mai questi interventi pure autorevoli e a tutto campo non fanno testo nella comunità ecclesiale e tra i singoli credenti? Perchè non diventano tra i cattolici italiani punto di riferimento, oggetto di considerazione, di discussione, di prassi? Perché, insomma, sono tanto inefficaci? Forse perchè troppo generici? Non mi sembra; almeno non tutti: possono essere discutibili come tutti i discorsi che contengono giudizi storici, ma non generici. Forse perché i cattolici nella stragrande maggioranza non sono abituati a pensare alle implicazioni della loro fede e quindi non danno attenzione a questa parte del messaggio dei vescovi? Lo ritengo molto verosimile. Forse perché i cattolici di ambedue gli schieramenti prestano ascolto alle sole voci del magistero che confermano e consolidano le loro scelte di campo? Forse perché ancora impreparati al sistema dell’alternanza? Anche questo lo ritengo molto vicino alla verità. Un’osservazione è comunque doveroso farla: i documenti dei vescovi oggi si muovono in un contesto diverso dal passato, sono più pragmatici e meno impegnati in pronunciamenti che riguardino scelte di campo alternative; mettono in risalto le attuali sofferenze del sistema e non discutono il sistema. Questo potrebbe essere indizio che i vescovi ritengano che il paese si sia pur avviato in maniera salda verso un sistema compiuto di democrazia e in questo contesto basti mettere in luce i punti deboli affidando poi alla dialettica delle parti la migliore soluzione. È sbagliata questa ipotesi interpretativa? È un dato di fatto, nel frattempo, che gli appartenenti al centro destra rimproverano i vescovi di essere troppo schierati a sinistra e, viceversa, quelli di centro sinistra vedono nei vescovi dei cortigiani di Berlusconi. Non mancano poi quelli che li accusano di essere ondivaghi e semplicemente opportunisti. Ma se noi proviamo ad ammettere che non c’è sofferenza del sistema in ordine alla democrazia non è forse vero che le sofferenze di carattere etico sono presenti in tutti e due gli schieramenti? E allora perché i vescovi sbaglierebbero quando i loro interventi sono rivolti ad incalzare le parti sulle rispettive debolezze? Perché la sensibilità etica dovrebbe, giustamente, entrare in fibrillazione davanti alla messa in crisi dello stato sociale e non dovrebbe irritarsi davanti all’appiattimento sui corporativismi forti che impediscono una serena discussione sul futuro dello stato sociale? Perché poi il benessere di un popolo dovrebbe essere parametrato solo sui dati economici e non dovrebbe prendere in considerazione il deterioramento dei beni immateriali che pure dovrebbero sostanziare la vita di una collettività? Forse la condizione di rissa permanentemente esasperata in cui versa l’attuale fase del dibattito politico fa venire meno quell’equilibrio che è indispensabile ad una più serena valutazione dei dati.

AUTORE: Gianni Colasanti