Ora basta! Di fronte all’ennesimo incidente mortale, aggravato direi dalle condizioni di lavoro in cui la tragedia è maturata, mi sento di ribadire quanto da più parti e più volte si è chiesto, in questi anni di grande sofferenza del mondo del lavoro. Tale sofferenza, tante volte denunciata, è stata nascosta dalle inutili diatribe ideologiche cui una politica inconcludente e un sindacato poco determinato ci ha, da tempo, abituati. E mentre sentivamo dire che gli operai non esistono più, si scopre (il rapporto Isfol 2007 parla di ‘un Paese con una forte base occupazionale industriale’) che sono tanti e che se la passano sempre peggio. Scorrendo l’elenco delle leggi più importanti (siamo il Paese che ha il più alto numero di leggi, ma che le rispetta di meno), dal 1955 ad oggi, ci si convince che il problema è davvero più ampio, che l’insicurezza sul lavoro non si può affrontare soltanto con il rispetto delle norme, ma coinvolge quello che siamo (soprattutto se credenti) e l’idea di futuro verso cui ci muoviamo. Il tutto vissuto in un Paese che il Censis legge in ‘costante inclinazione al peggio’, con una realtà che diventa ogni giorno ‘poltiglia di massa’, quasi una ‘mucillagine’. Non è retorica, ma storia vissuta, contrapporre a questa ‘mucillagine’ le dodici ore di lavoro di Antonio prima che moglie e tre figli lo perdessero. Non è retorica ripartire da queste famiglie e chiedere giustizia perché è tutto il mondo del lavoro che la pretende; tutti parte della stessa sofferenza, della stessa insicurezza. Così come non può essere considerato retorico il meravigliarsi che gli ispettori del lavoro facciano, talvolta, i consulenti per le stesse imprese che devono controllare e che molte aziende, anche pubbliche, con uffici occupati da migliaia di lavoratori, non siano in possesso neanche del Certificato di prevenzione incendi. Le proposte le abbiamo già fatte: un’organizzazione aziendale, per la sicurezza, frutto di percorsi formativi e informativi (non firme su un pezzo di carta); applicazione dei Sistemi di gestione della sicurezza (Sgs), evitando che le certificazioni assumano identità indipendenti; offrire vantaggi concreti a chi applica procedure virtuose; una diversa cultura della flessibilità lavorativa e impegno per ridurre le ampie aree di precarietà lavorativa; adeguato sistema di controlli, che tocchi anche le piccole e medie imprese. Tutelare la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro vuole dire, oggi, riconoscere quei diritti troppo spesso subordinati ad obiettivi aziendali ispirati al teorema ‘fare presto e al costo più basso’. Un’ultima considerazione: la vita umana, da difendere sempre, deve tornare il cardine delle politiche, l’oggetto principale dei percorsi gestionali e formativi, la risorsa su cui investire, anche in termini di ottimizzazione dei processi. Questa è la sfida: la sicurezza sul lavoro rientri in una visione globale ove la vita umana non sia affidata alle sole leggi, ma custodita quale risultanza di quella centralità della persona nel lavoro che la dottrina sociale della Chiesa ha sempre proposto e che spaventa proprio perché mette in crisi quel ‘mercato dei principi’ sul quale si è troppe volte costruita un’idea di efficienza che non regge più.
Sicurezza: le leggi ci sono perché tante tragedie?
Incidenti sul lavoro. Il commento
AUTORE:
Cristiano Nervegna