La gente ha paura. La sera non si può uscire di casa. Il centro è pericoloso e la periferia ancora di più. In autobus rischi il borseggio, per strada lo scippo. Il problema della sicurezza è salito al primo posto. Il fatto della donna romana, Giovanna Reggiani di 47 anni, deceduta a seguito di una violenta aggressione da parte di un rom di 24 anni che l’ha brutalizzata e poi gettata in un fossato ancora viva, ha portato alle stelle l’indignazione della gente, spingendo un gruppo di facinorosi ad aggredire un romeno che non c’entrava nulla. Alcuni sociologi dicono che si tratta di una psicosi collettiva, di un’impressione soggettiva determinata dalla televisione, perché, a conti fatti, i delitti rispetto a dieci anni fa sono diminuiti. La maggior parte degli uomini politici e della gente comune invece reclama la ‘tolleranza zero’ verso alcune etnie di immigrati, ritenuti i maggiori responsabili dei delitti. Ci è stato autorevolmente ricordato che non si deve disgiungere la sicurezza dall’accoglienza. È indubbio che i cittadini hanno diritto ed hanno bisogno di vivere in pace, e questa non può esistere senza sentirsi sicuri, protetti e difesi in modo costante nella propria casa e fuori. Ma ciò non deve portare una società a diventare uno Stato di polizia. Si deve ricreare la fiducia e l’alleanza tra cittadini in un patto di mutua garanzia di protezione vicendevole. Io sono custode anche del mio vicino, e il mio vicino è anche il mio custode, in una catena ininterrotta di solidarietà. Ma per questo non ci devono essere in circolazione persone disperate o dedite all’alcol, alla droga, a organizzazioni del crimine. Allo Stato e ai suoi organismi capillarmente distribuiti si deve il controllo del territorio. Non devono esserci zone franche per il crimine. La popolazione allora potrà aprirsi all’accoglienza e potrà avere il coraggio di affrontare anche lo sconosciuto, senza paura. Questa, prima di essere un’operazione di polizia, è un’opera educativa che deve interessare tutti. Di tale ‘educazione permanente’ hanno bisogno anche gli educatori, i professori, i medici, i politici e anche i docenti universitari, spesso molto esperti in una materia ma molto scadenti in tutte le altre. Tra il declassare il problema della sicurezza come impressione soggettiva, o farne un problema di forze dell’ordine e di leggi, si deve prendere atto che si è in allarme non solo se scoppiano mille incendi ma anche uno solo. Quando si tratta di persone, non si fa un discorso di quantità. Di Meredith, la studentessa inglese ammazzata in una situazione squallida e brutale, ce n’era una sola (vedi articolo a p. 12). È giusto e doveroso cercare le cause e i colpevoli dei fatti criminosi, senza peraltro farsi delle illusioni. Delitti avvengono dentro le mura domestiche, tra amici e compagni di scuola, senza apparenti ragioni. Si invoca talvolta la pazzia, talaltra la disperazione, ma si rimane sempre perplessi e attoniti con un grande senso d’impotenza. L’uomo è un mistero e il suo cuore un abisso. Siamo richiamati tuttavia a cambiare registro e a puntare su valori veri, facendo ‘resistenza’ all’aggressione degli idoli del nostro tempo che mons. Chiaretti, nell’omelia di sant’Ercolano (vedi p. 12) ha così elencato: ‘potere, successo, denaro, prestigio, carriera, lussuria, violenza, tradimenti e altro’, invocando poi Dio perché ‘ci dia coraggio e ci liberi dalla paura’.
Sicurezza in crisi
AUTORE:
Elio Bromuri