La domanda che i discepoli di Giovanni e i farisei pongono a Gesù sembra più che giustificata. La pratica del digiuno, del resto, fa parte di tutte le tradizioni religiose, e appare singolare che Gesù dispensi i suoi discepoli dall’osservarla. La verità è che Gesù, come abbiamo visto nelle domeniche precedenti, creava un clima assolutamente nuovo tra la gente, un clima di festa, di gioia, di speranza. Non sembrava venuto per propagandare nuove formule o nuovi riti, ma per portare sollievo, per offrire perdono, per far gustare nuovamente la misericordia, insomma per rendere felice la gente, soprattutto i più deboli.
E così in effetti accadeva. Gesù, anzi, mostrava palesemente un gusto particolare nell’intrattenersi con i peccatori, con chi era emarginato, con chi era allontanato, e soprattutto si fermava con i malati per sollevarli dalla loro pena. Nel brano immediatamente precedente a quello che abbiamo ascoltato i farisei pongono ai discepoli di Gesù una domanda che fa emergere tutta la loro distanza dal profeta di Nazareth: “Perché (il vostro Maestro) mangia assieme ai pubblicani e ai peccatori?”.
Se a questa richiesta si aggiunge l’altra sulla non osservanza delle pratiche del digiuno, appare chiaro il loro giudizio su Gesù. I farisei sono davvero distanti dal cuore del messaggio evangelico. Non hanno compreso né Gesù né le sue parole. La spiegazione del giovane profeta è singolare: paragona i suoi giorni come a quelli in cui arriva lo sposo. In quel giorno non si digiuna, al contrario si fa festa. E ovvio peraltro che la festa possono farla solo coloro che vedono in Gesù lo sposo, e sono quindi felici perché viene chi li riscatta, chi li salva, chi li guarisce, chi li prende con sé così come lo sposo prende la sposa.
Ed in effetti Gesù prendeva con sé i bisognosi e i deboli e li faceva membri della sua famiglia; giunse persino ad identificarsi con essi, come scrive Matteo al capitolo 25 del suo Vangelo: “avevo fame e mi hai dato da mangiare”. Certo, coloro che gli stanno attorno o che accorrono a lui, forse non sono gran gente. Ma sono proprio costoro a sentirsi felici; felici come se fossero invitati a nozze. Hanno trovato lo sposo e stanno con lui, realizzando, in certo modo, la profezia di Osea: “Ecco, l’attirerò a me e parlerò al suo cuore… ti farò mia sposa per sempre, nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore”. Com’è possibile digiunare in questa condizione di gioia? Com’è possibile frenare la gioia per una presenza così sconvolgente come quella di Gesù?
La presenza di Gesù tra gli uomini è un evento appassionante che vanifica le distanze, anche quelle più impensabili, che avvicina gli uomini, anche i più diversi tra loro, che raccoglie tutti dalla dispersione. E commovente vedere come Gesù sta con i poveri, scorgerlo mentre parla con i peccatori, osservarlo come perde tempo con chi non conta. Ecco cos’è il Vangelo, ed ecco perché è davvero una buona notizia: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. E peccatori siamo tutti. Gesù è venuto per liberarci dalle nostre tristezze e dalle nostre schiavitù e non per un suo personale disegno ma solo per renderci pienamente felici.
Egli è il nostro liberatore e il suo giorno è appassionante. Certo non mancheranno per i discepoli giorni difficili, come del resto non sono mancati per Gesù. Ma è proprio la festa che si sperimenta con lui che sostiene e dona energia ai discepoli. Senza aver gustato questa gioia, senza aver vissuto la dolcezza della speranza cristiana, è impossibile comprendere, ad esempio, la forza con cui migliaia e migliaia di semplici cristiani abbiano potuto resistere sino al sangue nel corso del Novecento alla barbarie del comunismo del nazismo e di ogni totalitarismo.
Senza aver gustato la gioia dell’amicizia con il Signore è difficile comprendere non solo la pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato, ma l’intera vita cristiana, direi la stessa Chiesa e la sua lunga storia. Sul nostro volto, sul volto delle nostre comunità cristiane dovrebbe risplendere con maggior evidenza la gioia di appartenere a Gesù. È la perfetta letizia di cui parlava Francesco d’Assisi una letizia che diviene ancor più luminosa mentre si ricevono ostilità e opposizioni.