Si combatte sull’aborto anche una battaglia di parole

Il Movimento per la vita ribadisce il suo impegno a 22 anni dalla legge che rende legale e finanzia il ricorso all'aborto

Col passare degli anni l’aggressione alla vita umana nella sua fase di sviluppo più giovane e più debole quale quella embrionale, diventa sempre più violenta, avvalendosi di nuove strategie mortali. Non solo l’applicazione ultraventennale della legge 194/78 continua a distruggere in Italia centinaia di migliaia di bambini non ancora nati (139.386 nel ’99, quasi 4 milioni dal ’78 ad oggi!), ma anche nuove biotecnologie applicate alla riproduzione umana e i già noti sistemi di “intercezione” (cioè di aborto precocissimo) dell’embrione prima del suo impianto uterino (di cui la “pillola del giorno dopo” è la forma farmacologica più classica, oggi addirittura prescrivibile come tale e disponibile nelle farmacie italiane) sempre più incombono e trovano oltretutto favore e consenso applicativo, se non ancora legislativo, da parte degli organi di governo della Sanità degli stati civilmente più evoluti, compreso il nostro. Tutto deriva dalla stessa matrice ideologica che nega al bambino concepito, e quindi all’embrione fin dai suoi primissimi giorni di vita, la dignità umana che si esprime esistenzialmente con la parola “figlio”. Già nel testo della legge 194 non compare mai questa parola e neppure la parola “madre” che a quella realtà richiama. Ma, ancor più grave è il fatto che il “concepito” viene oggi chiamato “ovulo fecondato”. Si tenta così, cambiando i termini identificativi della realtà biologica umana individuale (vedi quanto espresso dal Comitato nazionale di Bioetica sullo Statuto dell’embrione umano) se non “personale”, di sopprimere prima mentalmente e poi fisicamente, nel tempo più precoce possibile, il figlio appena generato. In questi 23 anni, all’ideologia radicale femminista della “libera scelta” della donna sulla vita di suo figlio (non riconosciuto) di cui la legge 194 è espressione, si è sovrapposta negativamente una oscura visione pragmatistica ed utilitaristica della scienza medica della riproduzione che ancor di più tende a legittimare ogni abuso mortale contro l’essere umano “più piccolo e più povero”, il bambino concepito. Forse mai come in questi ultimi tempi la congiura contro la vita nascente è stata così arrogante ed esplicita, coinvolgendo drammaticamente nell’errore giuridico e amministrativo anche le più alte cariche degli Stati. Giustamente ed appropriatamente i vescovi italiani quest’anno propongono la loro riflessione per la Giornata per la Vita trattando il tema: “Ogni figlio è parola”. E’ infatti la parola, oggi più di ieri, il primo livello di “attacco” alla vita del bambino non ancora nato, il figlio. Aumenta infatti, l’elenco delle parole false o falsificanti contro il figlio fin dal suo concepimento: Ivg invece di aborto volontario (uccisione di un bambino nel suo stadio embrionale o fetale); “ovulo fecondato” invece di bambino concepito attraverso la fecondazione; gravidanza che inizia solo con l’annidamento in utero della blastocisti (embrione nella 1^ settimana di vita) invece che dalla fecondazione; “corpi embrioidi” invece di embrioni ottenuti con la clonazione per ricavarne cellule staminali totipotenti per trapianto in soggetti adulti. Il vocabolario dell'”antilingua” si fa dunque sempre più ricco e complesso, meno accessibile alla gente comune che pertanto, può essere più facilmente ingannata e manipolata nelle sue scelte da coloro che detengono il “potere”, la moderna biotecnocrazia. Nel dibattito attuale su queste nuove frontiere della bioetica si è levata alta la voce del Magistero ecclesiale, attraverso la voce del Pontefice e dell’organo più autorevole e competente in materia, la Pontificia Accademia per la Vita. Questo intervento, ancora una volta, è stato giudicato dalla cultura laicista di natura puramente “confessionale”, quasi un’interpretazione aprioristica della realtà scientifica in argomento. Erroneamente si continua a relegare il pensiero cattolico (così sempre più etichettato) su queste tematiche, come sull’aborto, in una posizione “adialettica”, che esclude i cattolici da un dialogo razionalmente fondato. Siamo sempre più convinti che il riconoscimento e la difesa del bambino concepito, del figlio fin dal concepimento (o fecondazione), a cui la Chiesa richiama e sollecita costantemente non solo i cattolici, non è una scelta “di parte”, ma il riconoscimento del diritto alla vita di tutti e di ciascun essere umano.

AUTORE: Alberto Virgolino