Se vivo, è merito di un altro

Trapianto d'organi: esperienza spesso drammatica, ma anche veicolo di spiritualità profonda

Questo è un dramma con due facce. Sono due facce molto umane, di sofferenza ma anche di speranza. Si tratta dei trapianti d’organo, tecnica medica che offre la speranza a taluni di poter sopravvivere pur con una parte del corpo fondamentale che non fa il suo dovere: un cuore, un fegato, un rene… Il dott. Fabio Ermili, responsabile di Chirurgia epatobiliare presso l’ospedale di Foligno, per anni ha lavorato come trapiantista di fegato in una struttura pubblica ligure, e parla della sua esperienza con la sensibilità e la delicatezza di chi fa un mestiere davvero difficile, in cui ‘si lavora, più che in ogni altro settore medico, a stretto contatto con l’etica’. Si diceva di un dramma doppio: dalla parte del donatore di organi, o meglio dei familiari di costui, ‘quasi sempre un giovane che muore in un incidente le cui condizioni cardio-circolatorie sono buone’ spiega Ermili. ‘Dal momento in cui viene dichiarata la morte cerebrale, i medici hanno pochissime ore per prelevare gli organi e trapiantarli sul paziente malato in attesa. Ma il vero dramma è quello della famiglia del donatore, che si trova in quelle poche drammatiche ore a decidere su un tema così delicato, a seguito dello shock più grande della perdita improvvisa del proprio caro. Esiste una figura apposita, ricoperta in genere da un medico legale, che con la dovuta delicatezza e professionalità spiega ai familiari del potenziale donatore quello che sta succedendo, chiedendo il consenso alla donazione’. Se si concede la donazione, allora parte un meccanismo che lotta contro il tempo per procedere al trapianto nel paziente che ‘ magari dalla parte opposta dell’Italia ‘ è in attesa dell’organo che potrebbe garantirgli di sopravvivere più a lungo. Potrebbe. Infatti l’altra faccia del dramma si svolge al di qua del muro, nella vita di chi attende anche anni di ottenere un trapianto. ‘In questi anni di lavoro mi ha colpito molto il rapporto psicologico che si instaura tra il trapiantista e il paziente in attesa, cosciente del fatto che potrebbe morire prima di arrivare al suo turno. Noi medici diventiamo una sorta di riferimento per queste persone e le loro famiglie, specie dopo il trapianto. Chi subisce un’operazione del genere, inoltre, sa benissimo che esiste il 12% di possibilità di non superare l’intervento, ed anche questo è drammatico. Nei pazienti che superano questa operazione, invece, mi ha colpito come si instauri la consapevolezza che il proprio corpo vive grazie a qualcun’altro, grazie ad un ‘estraneo’ dentro di sé. Ho visto molte persone ritrovare la fede affrontando questa battaglia’. La realtà umbra dei trapianti d’organi è estremamente variegata: dato il numero esiguo di abitanti nella regione, per la maggior parte degli interventi l’Umbria fa capo a Roma, e i soli trapianti praticati fin dal 1988 presso l’Azienda ospedaliera perugina sono quelli di rene e di fegato.

AUTORE: Mariangela Musolino