La Chiesa torna a ricordarci, com’è suo dovere, snodi fondamentali del credente: in questo caso l’impatto della fede con la storia, fatta per lo più di sofferenza e di difficoltà. Nella prima lettura il profeta Abacuc, in un periodo confuso per la storia di Israele, sta come sentinella sugli spalti della fortezza per interpretare il progetto di Dio che si sta dipanando nella storia, e dialoga con Lui per chiedere spiegazioni: “Perché resti spettatore dell’oppressione?”. E Dio risponde di voler punire i colpevoli servendosi di un popolo a sua volta colpevole; ma i persecutori non dureranno, mentre il “giusto vivrà per la sua fede”. Anche dentro queste dinamiche di violenza si ritrova perciò il significato della storia umana, pur se piena di ingiustizie e di assurdità. Certo è che ognuno risponderà a Dio per il male compiuto, mentre chi rimane fedele troverà pace e sicurezza nei “cieli nuovi e nella terra nuova” che verranno.
È in quest’ottica che Paolo, scrivendo dal carcere al discepolo prediletto Timoteo, lo esorta a non vergognarsi, nella persecuzione contro i discepoli di Cristo, di dare testimonianza al Signore, come farà anche lui che è in carcere per il nome di Cristo. Timoteo faccia appello allo spirito di forza, di carità, di prudenza, ricevuto in dono mediante l’imposizione delle mani di Paolo che gli ha trasmesso il ministero; non abbia paura di soffrire con Paolo per il Vangelo, e di custodire, “mediante lo Spirito santo che abita in noi”, il bene prezioso della fede missionaria. C’è un martirio rosso (del sangue) e un martirio bianco (della sofferenza silenziosa) che sono sempre propri della Chiesa.
È interessante la sottolineatura che Paolo fa dello Spirito santo, dono di Cristo risorto a ciascuno di noi e a tutta la Chiesa, che ci consente di avere un “paraclito”, e cioè un difensore, un consolatore, un rammentatore della presenza e delle parole del Maestro, del quale lo Spirito ha preso il posto, garantendo come Cristo alla Chiesa la vittoria sul mondo: “Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). Il tempo presente ci ha portato a capire che le persecuzioni non vengono solo dall’esterno della Chiesa, ma anche dall’interno, per il peccato dei suoi figli prediletti, i preti, per i quali Paolo ripeterebbe quel che scrisse a Timoteo: “Con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”.
Con la forza di Dio, ovviamente, invocando lo Spirito: Lava quod est sordidum, riga quod est aridum, sana quod est saucium. Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est devium. Da tuis fidelibus, in te confidentibus, sacrum settenarium (ossia: “Lava ciò che è sporco, bagna ciò che arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, guida quelli che devìano. Da’ ai tuoi fedeli – che in Te confidano – i tuoi sette doni”). Nel brano evangelico, che fa parte degli ammonimenti di Gesù ai discepoli, c’è una apertura che in certo modo fa da legame tra le tre letture riguardanti le fragilità della fede e le necessità di rafforzarla continuamente per vincere il Maligno, che è sempre in opera. È inevitabile che avvengano scandali, dice Gesù ai suoi, ma “guai a colui a causa del quale essi vengono… State attenti a voi stessi!”. Sono scandali che riguardano l’ingenuità e la fede semplice di bambini, o quelli che nascono dagli insegnamenti dei falsi maestri, o gli abbandoni della fede in tempo di persecuzione: sempre gravi minacce per i rapporti di fraternità, e “scandalo” per chi è ancora agli inizi del cammino di fede.
Gli apostoli perciò chiedono: “Accresci in noi la fede!”. E Gesù risponde: “Non si tratta di accrescere la fede, ma di averla, cambiando tutto il modo di pensare la vita. Anzi, se aveste fede quanto un granello di senape, quasi impercettibile per la sua piccolezza, potreste sradicare anche un albero mandandolo altrove, ed esso vi obbedirebbe”. L’esempio che Gesù porta del servo obbligato dal padrone a prestare servizi nonostante la sua stanchezza, quasi stride ai nostri orecchi; ma intende collegare la potenza della fede all’umiltà del servizio del discepolo. Quanto più il discepolo è umile, tanto più Dio lo fa potente. I miracoli dei “santi” stanno a ricordarci sempre la loro umiltà, come cantò Maria, la schiava del Signore, nel suo Magnificat : “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.