Scuola diocesana di teologia: inaugurato un nuovo anno di studi

"Paura e speranza" il tema della relazione inaugurale di mons. Chiarinelli

La Scuola di teologia di Orvieto, strumento di formazione pensato nel contesto del “Progetto culturale cristianamente ispirato” proposto dalla Chiesa italiana al Convegno ecclesiale di Palermo (1995), è giunta ormai al quarto anno di attività. Collegata alla Pontificia Università “Angelicum” di Roma, la Scuola offre vari corsi di studio: Sacra Scrittura, Teologia, Storia della Chiesa, Filosofia… La Scuola viene riconosciuta dalla diocesi anche come aggiornamento per gli insegnanti di religione. Vi partecipano, soprattutto, persone interessate ad approfondire il rapporto tra fede e vita, attraverso un itinerario organico di formazione culturale. E’ organizzata su un percorso triennale, al termine del quale viene rilasciato un diploma-attestato di partecipazione. Anche quest’anno, e precisamente giovedì 29 novembre, la Scuola ha inaugurato in modo solenne l’inizio dell’Anno accademico. E’ stato invitato mons. Chiarinelli, vescovo di Viterbo, presidente del Comitato delle settimane sociali dei cattolici italiani e della Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, a svolgere una lezione-meditazione sul tema “Paura e Speranza”. Sembra che dopo i tragici eventi dell’11 settembre il mondo sia in preda ad una paura che, da decenni, ci sembrava di aver dimenticato. La paura non era scomparsa, ma sembrava relegata prevalentemente nella sfera personale e privata. Adesso si è riaffacciata invece una paura collettiva. Che cosa succede? Eppure non è la prima volta che eventi storici di particolare gravità sembrano sconvolgere i nostri abituali modi di vivere. Non successe la stessa cosa quando i Visigoti di Alarico conquistarono Roma nel 410 dC? Allora ci fu S. Agostino che, con la Città di Dio, aiutò a leggere quell’evento come un fatto, per quanto drammatico, della storia, e non come un segnale della imminente fine della storia. Per i pagani la crisi di Roma era stata, addirittura, causata dall’avvento del cristianesimo. Anche allora una paura collettiva, nella visione cristiana della storia avanzata da Agostino, che prospettava la perenne dialettica tra la Civiltà dell’amore e la civiltà dell’odio, si rovesciò in speranza collettiva. Non bisogna tuttavia pensare solo ai grandi fatti sociali e politici, che certamente, anche per effetto dei mezzi di comunicazione, raggiungono in maniera più efficace l’opinione pubblica. Ci sono anche fatti apparentemente meno eclatanti ma non per questo meno importanti. Basti pensare alle scoperte dell’ ingegneria genetica. Oltre all’11 settembre, ha detto mons. Chiarinelli, occorre ricordare anche la data del 26 giugno 2000, quando la comunità scientifica mondiale ha comunicato che l’uomo ormai conosce quasi tutta la sua mappa genetica (il genoma). Non è anche questo un evento sconvolgente? Nella situazione odierna, sfuggendo al doppio errore della rassegnazione e della reazione emotiva, occorre ripartire – ha detto mons. Chiarinelli – dall’essenziale. Che è innanzitutto la centralità della persona umana, che si costruisce attorno ai valori della verità, dell’amore, della giustizia e della pace. In nome di tali valori dovremmo smantellare le logiche perverse dell’individualismo, del consumismo, della ricerca affannosa dell’effimero. Occorre riscoprire la forza del paradosso cristiano, così bene espresso dalla Lettera a Diogneto. La Lettera parla infatti di una “cittadinanza paradossale” del cristiano, per il quale “ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera”. Il cristiano deve dunque portare nel mondo il sale di una santa inquietudine, che non è la paura pagana. E’ anzi la speranza della Città celeste, nella quale avrà stabile dimora la giustizia e la pace. Sperare nell’avvento della Città celeste significa credere nella profezia che “anche il deserto fiorirà” (Isaia). La meditazione di mons. Chiarinelli ha stimolato il pubblico presente che è intervenuto numeroso. Al termine della “conferenza” si è quindi svolto un vivace e interessante dibattito. Il tema più sentito è stato quello della identità del cristiano, che sul piano naturale è come tutti gli altri uomini, ma che è chiamato anche a rendere ragione della speranza che è in lui: la speranza del Risorto. Senza questa speranza è uno come gli altri, anche se questa speranza non lo sottrae alle paure di tutti. E’ qui, però, che il cristianesimo deve dimostrare la sua novità. Anche dove tutte le ragioni umane dovessero stare da una parte – e il tema ragione e fede è stato al centro del dibattito – il cristiano ha in più la risorsa della fede. Ogni soluzione che eluda l’apporto della fede, e quindi della carità, è una soluzione inaccettabile per un cristiano.

AUTORE: Paolo Nepi