Ho letto con interesse il bell’articolo di Francesco Fringuelli sui rapporti fra scienza e fede e sono d’accordo con lui che, a certe condizioni, non siano in antitesi. È senz’altro vero, come si sostiene da più parti, che si tratti di “magisteri non sovrapponibili” (noma = non overlapping magesteria), ma sia la fede che la scienza hanno il loro punto di unione nell’uomo e, a questo livello, non possono essere in contraddizione, pena una irragionevole lacerazione interna. Proprio per questo motivo occorre essere molto cauti ed estremamente precisi nell’uso delle parole, per non creare confusioni e generalizzazioni che finiscono per suscitare equivoci. La scienza, come giustamente ricorda anche Fringuelli, si basa sulla ricerca sperimentale, sempre falsificabile, sulla logica e sulla matematica, cioè su quella facoltà umana che viene indicata come “ragione”, peraltro assai fallibile e sempre correggibile. La fede no: è una scommessa ragionevole (ma non “dimostrata” dalla ragione umana) che il tutto abbia un senso e che Dio, entro la natura conoscibile dall’uomo ed al di sopra di essa, ne sia il garante. Per quanto ne sappiamo, i mezzi che il nostro cervello possiede per conoscere le leggi del mondo che lo circonda sono quelli scientifici, sempre in evoluzione, ma difficilmente possiamo accettare l’ipotesi che la scienza sia un mezzo per “conoscere Dio”, per definizione inconoscibile. Ne consegue che la non contraddizione fra scienza e fede ha come primo corollario che tutte le “credenze” proposte dalla religione, in contrasto con le acquisizioni scientifiche, devono essere considerate metafore da interpretare e non verità indiscutibili (dalla modalità di creazione, soprattutto dell’uomo, al sole che gira intorno alla terra, al paradiso terrestre, al peccato originale e quindi alla redenzione), senza fare ricorso alla sospensione delle leggi della natura (ossia miracoli), le quali leggi fanno parte di Dio che pure le trascende. Credo che sia fondamentale liberarsi dalle “credenze” datate e guardare unicamente al fondamento della fede. Mi permetto inoltre di segnalare all’amico Fringuelli alcune perplessità che il suo articolo mi ha suscitato. 1) Innanzi tutto la separazione netta che viene prospettata fra scienza e tecnologia (buona la prima, potenzialmente cattiva la seconda). In realtà la tecnologia non può essere definita soltanto come “l’applicazione dei risultati della scienza”, ma è costituita da metodi e strumenti, sempre più sofisticati, che si intrecciano con la scienza, la favoriscono e le consentono non solo di ottenere sempre nuovi risultati, ma anche di porsi sempre nuovi problemi. Scienza e tecnica sono dunque strettamente congiunte (senza il cannocchiale, difficilmente Galileo avrebbe raggiunto i suoi scopi). Concetto diverso è l’applicazione pratica di quello che la scienza-tecnologia ha raggiunto e qui la responsabilità ricade pienamente sulla coscienza dell’uomo. 2) Sempre per quanto riguarda la terminologia, sarei del parere di evitare l’uso di parole come “scientismo, relativismo, filosofia assoluta ecc.” senza definirle esattamente (cosa che evidentemente non si può fare in un articolo di giornale). Il pericolo sta nel fraintendimento e nel retropensiero. Basti pensare a quante volte anche i Pontefici hanno utilizzato l’aggettivo “vero” accanto ai più svariati sostantivi (vera scienza, vera etica ecc.), indicando con questo una posizione che, essendo vaga, può essere interpretata a piacimento (anche in senso fondamentalista). 3) Cercherei di tenere ben distinti i problemi di “fede” o, meglio, di “credenze” dai problemi etici. L’etica e la morale dell’uomo si sono faticosamente evolute, nelle loro linee generali, con l’evoluzione dell’uomo e sono state affinate, ed anche diversificate, nel corso dei millenni, dalla differenziazione delle culture. I concetti che ciascuno crede veri sono un’altra cosa. Fringuelli conclude il suo intervento con una domanda che già aveva formulato nel corso dell’articolo, partendo dalla premessa, storicamente opinabile, che la Chiesa abbia sempre favorito la ricerca scientifica: “Perché la Chiesa farebbe questo se credesse che scienza e fede siano in contrasto o che la scienza possa oscurare la fede cristiana?”. Già, perché ? Eppure, purtroppo, diverse volte, nel corso della storia (da Giordano Bruno a Galileo a Freud a Darwin), la Chiesa è apparsa credere nel contrasto e temere l’oscuramento. Per questo troppo spesso ha guardato con sospetto i risultati della ricerca scientifica.Fausto Grignanidocente universitario di MedicinaOltre i dubbi il mistero della fedeInserirsi nel discorso sulle “perplessità” del sig. Gianfranco Tanzilli sulle “sfide dell’evoluzione nei confronti della fede” espresse nella lettera a La Voce (21 gennaio 2011) credo non sia possibile farlo in modo semplice e chiaro, ma l’invito è stato per me irresistibile. Ho perfino rispolverato i miei libri scolastici. Secondo particolari ricerche fatte sui fossili da parte dei paleontologi, la vita in questo pianeta iniziò circa 600 milioni di anni fa, compresa quella vegetale e animale, per organismi monocellulari, ma il procedimento di adattamento alle primitive condizioni ambientali fu lentissimo e non ugualmente favorevole. Molte specie non sopravvissero, altre subirono continue modificazioni. La comparsa del genere umano (o umanoidi) risale a 5 milioni di anni fa e perfezionò la sua esistenza a motivo delle sue privilegiate caratteristiche: il cervello, le mani, la parola. Il cervello, sempre più sviluppato anche nelle sue dimensioni, ha consentito la conoscenza del mondo circostante; le mani, dotate di grande mobilità nelle dita, resero possibile la costruzione di strumenti di grande quotidiana utilità e, infine, anche di grandi opere; la parola, cioè il linguaggio, permise l’intesa immediata tra le comunità, anche nel settore del sentimento come il dolore, la gioia, la paura. Il cammino intellettuale del sig. Tanzilli certamente non è uguale a nessun altro; è “suo”. Inserirsi nel suo procedimento mentale è possibile soltanto in maniera secondaria, cioè secondo “altri”; ad esempio secondo “me”. Il cammino di comprensione nei confronti delle scoperte scientifiche sul genere umano e la fede cristiana, in cui ero stata educata nella mia religiosissima famiglia, subì un duro colpo con la lettura del capitolo Genesi della Bibbia. La cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre e la loro discendenza con i figli Caino e Abele, mi apparve una favola inconciliabile con il documentato “brodo primordiale” dove, nella giovane Terra sconvolta dal fuoco dei vulcani e la formazione dell’atmosfera, iniziavano a muoversi nelle grandi acque organismi viventi, già selezionati in ordine e grado. Piante e animali si contendevano il dominio delle risorse terrestri; forme e dimensioni continuavano a modificarsi per affrontare al meglio il confronto e l’esigenza di sopravvivere; la caratterizzazione di alcune specie e il loro continuo perfezionamento… Mi chiedevo: che significato possono avere, in questo contesto, il premio, il castigo, il senso del peccato? E dove si può trovare “l’anima” in tutto questo? Ero una ragazzina sempre in ansia, ma ricordo perfettamente di non aver trasmesso a nessuna dei miei familiari queste mie giovanili “perplessità”. Sentivo invece di dovermi affidare alla fede del mio primo catechismo cristiano e, in particolare, alla devozione a Maria di Nazaret, madre di Gesù. Andavo con il pensiero a Lourdes, accanto a Bernadette, tra i sassi della grotta di Massabielle, e dicevo quasi ad alta voce: che mi importa della Bibbia e della scienza, se tu sei veramente tornata tra noi per parlarci del regno di Dio? Tu ci assicuri una dimensione eterna di pace e di amore per tutte le creature di buona volontà! Dopo tanti anni, ogni volta che accade qualcosa di incomprensibile, di inaccettabile nella mia vita o nelle perverse condizioni dell’odierno modo di vivere, e mi assale il dubbio sulla capacità di Dio di liberarci dal male e dal dolore, io torno là, ad inginocchiarmi per parlare con la Vergine Maria. A questo punto so bene di non essermi inserita nel discorso sugli “equilibri punteggiati” e sul “salto ontologico” che sono invece stati motivo di riflessione del sig. Tanzilli (troppo difficili per me) ma sento di condividere umilmente il concetto espresso dal teologo e nostro pontefice Ratzinger, perché rispetta la realtà tuttora evidente del “continuo evolversi della intelligenza umana sotto il dominio dello Spirito Santo, ultimo passaggio evolutivo dell’umanità”. Credo che, attraverso i secoli, sia rimasta unica tra i viventi questa umana capacità di “pensare” oltre le vicende terrene e, in una speciale comunità, quella di aver invocato, atteso, profetizzato la venuta di Qualcuno inviato dal Signore del cielo e della terra. Possiamo veramente credere che Dio abbia scelto “quel tempo”, “quel popolo”, “quelle circostanze” per rivelarsi, incarnandosi in un uomo di nome Gesù e di aver finalmente dato un posto, un volto, una ragione al destino dell’anima immortale. Ma perché ciascuno di noi sia artefice del proprio eterno destino, tutto questo non può che rimanere un mistero; come ripete la Chiesa di Cristo: “Mistero della fede”. Silvana Frattegianiinsegnante di scuola primaria