La notizia non è passata in sordina. Giornali locali (compresa La Voce) e nazionali hanno dato enfasi all’approvazione del Documento annuale di programmazione (Dap) di spesa sanitaria da parte della Regione Umbria. Il Dap indica che il comparto sanitario avrà un costo stimato di 2.020 miliardi (2.336.359 lire/pro capite) per l’anno 2001, cioè il 75% della disponibilità complessiva della Regione. La cifra fa parte della dote di 131 mila miliardi di lire che recentemente lo Stato ha trasferito alle regioni italiane per la spesa sanitaria. Di fronte a queste cifre – che per l’Umbria sono percentualmente tra le più alte in Italia che cosa si attende l’uomo della strada? Servizi efficienti e efficaci, fruizione di supporti diagnostici e terapeutici conformi alle più recenti attualità scientifiche, ambulatori e ospedali funzionali, dotati di adeguate strutture alberghiere e soprattutto risposte rapide ai bisogni sanitari. Il che significa abbattimento delle liste di attesa. La realtà che incontra l’uomo della strada è ben diversa. Tralasciando per il momento di parlare di malasanità istituzionale, vorrei polarizzare l’attenzione sulle lunghe liste di attesa, vera vergogna del servizio sanitario nazionale. Liste di attesa per interventi chirurgici, compresi quelli sul cuore, per protesi d’anca, per visite specialistiche, per esami diagnostici, per terapie fisiche. Se il solito uomo della strada prova a telefonare al Cup (Centro unificato prenotazioni) di Perugia, viene informato che per una visita oculistica deve attendere tre mesi, per una visita ortopedica o dermatologica o otorino due mesi. Se necessita di una ecografia i tempi lunghi oscillano da uno a tre mesi a seconda della sede in cui si effettua la prestazione. Per la Tac e la Risonanza magnetica il paziente ha un mese di tempo per conoscere la diagnosi (che talvolta è una sentenza) della propria malattia. Forse a queste lunghe liste di attesa l’uomo della strada ci si abitua fino a pensare che sia un evento “normale”. Ha fatto scalpore la notizia (pubblicata anche su La Nazione Umbria del 13 febbraio scorso) relativa all’attesa di circa due mesi per una visita specialistica nefrologica. Il paziente cinquantenne perugino è progressivamente peggiorato; ha cercato di velocizzare la visita specialistica. E dalla visita è risultata l’improcrastinabile necessità della dialisi. Quindi il trattamento dialitico d’urgenza come risultato del ritardo della visita specialistica nefrologica. Nessuno può dire se un intervento precoce avrebbe mai evitato o procrastinato la dialisi. Nella nostra realtà regionale l’accesso alla dialisi è abitualmente tardivo. Perché ciò accade? Per l’invio procrastinato e/o rallentato del nefropatico allo specialista, per la carenza di strutture dialitiche. L’accesso tardivo alla dialisi non è senza conseguenze per il paziente con insufficienza renale. E a tale proposito c’è da segnalare che la durata della vita dei dializzati umbri è la più bassa d’Italia. E ciò ovviamente non perché la loro età media è maggiore di quella degli altri pazienti italiani, né tantomemo per la scadente qualità assistenziale (da più parti è riconosciuto l’elevato standard del trattamento dialitico in Umbria). E allora, è possibile cambiare il trend? Sì, intervenendo su due fattori: favorire e velocizzare le visite nefrologiche; allargare la rete dialitica in Umbria. Il primo punto non è difficile da realizzare se l’organizzazione ambulatoriale dei vari centri nefrologici fosse adeguatamente strutturata. Più problematica è la modalità di ampliamento delle strutture dialitiche. Alcune cifre aiutano a comprendere meglio il problema. In Umbria i dializzati sono circa 700, ogni anno entrano in dialisi 100 nuovi nefropatici (1999). Ai vari ambulatori nefrologici affluiscono circa 1.000 pazienti; di questi la maggior parte con il tempo è costretta a richiedere il trattamento dialitico. Recenti evidenze scientifiche raccomandano che l’inizio della dialisi non avvenga nella fase terminale dell’insufficienza renale ma quando ancora la funzione renale non è completamente soppressa. La percentuale di questo gruppo di nefropatici è dell’8-10% della popolazione con malattie renali. Nella realtà umbra ciò sta a significare che in aggiunta al numero di pazienti che entrano in qualche modo in dialisi, dovremmo aggiungere un altro contingente che però non trova spazio. A ciò si potrebbe ovviare con il potenziamento dei centri emodialisi pubblici e privati. E non è esatto quanto asserito dall’assessore regionale alla Sanità, Rosi: “i centri pubblici dialitici presenti nel nostro territorio sono in grado di far fronte ai fabbisogni presenti e non vi è la necessità per il Servizio sanitario regionale, allo stato attuale, di autorizzare centri privati per l’attività suddetta”. Una più esatta conoscenza ed interpretazione dei numeri smentisce questa dichiarazione e rafforza il concetto che sono sempre i più deboli a pagare. E ciò in contrasto con ogni preannunciato populismo.
Sanità e liste di attesa: il caso della dialisi
AUTORE:
Mario Timio